La giustizia corrotta
Palamaragate non finisce mai, il Parlamento uscirà dalla sudditanza a Beppe Grillo e a Marco Travaglio?
Non finisce mai il Palamaragate. E ogni capitolo nuovo è una mazzata sulla credibilità di tutta la magistratura. Non perché tutta la magistratura sia corrotta, per carità, ma perché appare evidente che la corruzione ha minato profondamente la sua testa, il suo gruppo dirigente potremmo dire, e per questa ragione ha tolto ogni credibilità a tutta la macchina della giustizia. È un danno spaventoso per il Paese. Il grosso della magistratura fa il suo lavoro onestamente. Senza pregiudizi. Cerca la verità. C’è però un gruppo di circa 2.000 persone, che costituisce un quarto della magistratura, del quale fanno parte soprattutto i Pm, che ha assunto un ruolo sovversivo e che ha messo a soqquadro e posto fuorilegge tutta l’istituzione. Avete presente quella frase fatta: ho fiducia nella magistratura? È insensata. Anch’io avrei fiducia nella magistratura, ma se mi capita invece di finire sotto il tiro di uno di quei 2.000 magistrati del Palamaragate, altro che fiducia! So per certo che in quel caso macchina della giustizia e giustizia hanno divorziato.
Il secondo e il terzo capitolo del Palamaragate, venuti alla luce in queste ore, ci dicono due cose sconvolgenti. La prima l’abbiamo raccontata ieri, ed è il “blocco” delle chat di Luca Palamara (alle quali partecipò il Gotha della magistratura italiana e soprattutto del partito dei Pm) deciso dalla Procura di Perugia, che le trasmise al Csm e alla Cassazione con un anno di ritardo. In questo modo si è evitato che magistratopoli potesse influire sulle nomine avvenute tra il maggio del 2019 e il maggio del 2020, tra le quali moltissime assai importanti, come la nomina del procuratore di Roma, cioè del successore di Pignatone.
La seconda cosa che dicono questi nuovi sviluppi del Palamaragate è che addirittura sono andati perduti tutti gli sms del cellulare sequestrato a Luca Palamara, perché la Guardia di Finanza si dimenticò di scaricarli prima di restituire il telefonino al magistrato sotto inchiesta. Cosa c’era in questi sms? Nessuno può saperlo, ma probabilmente c’erano chiacchiere molto importanti, anche perché è noto che alcuni magistrati non usano Whatsapp – non lo possiedono – ma usano i vecchi sms.
Voi provate a immaginare se due errori così clamorosi – sì, certo, vien da ridere a chiamarli errori…- fossero stati commessi in una indagine che riguardava dei politici. Sarebbe successo il finimondo: dimissioni, cadute di governi, arresti, gogne, campagne giornalistiche.
E invece sembra che la magistratura riuscirà a inghiottire senza fare una piega anche questo nuovo scandalo. E continuerà ad operare, a giudicare, a disporre delle nostre vite, dei nostri patrimoni, della nostra libertà. Cioè a fare uso incontrollato e incontrollabile del proprio smisurato potere, del tutto incongruente con gli assetti di una democrazia moderna, di una società equilibrata, di uno Stato di diritto.
È vero che dentro la magistratura sta succedendo qualcosa. Ci sono frange, gruppi, singoli, che iniziano a ribellarsi. A contestare i vertici, le correnti, il giustizialismo, il corporativismo, il moralismo senza morale, il davighismo, il partito dei Pm. La recente vicenda di Magistratura democratica è un esempio. Md è un pilastro della magistratura associata. Da decenni. Ha una storia lunga, forte, piena di pensiero, di cultura, in parte gloriosa in parte ingloriosa. C’è un mio amico magistrato che, un po’ per scherzo e un po’ seriamente, dice che Md è l’unico luogo della sinistra – nel mondo intero – che ha retto alla caduta del muro di Berlino. Già. L’unico che è stato capace di proseguire per la sua strada, forte come prima e forse, anzi, parecchio più forte di prima. Mai nella sua storia è stata oggetto di congiure interne. Tantomeno di scissioni. E invece, proprio in questi giorni, l’attacco si è scatenato. Dopo che Md aveva espresso dei dubbi sul caso Palamara (e ancora lo ha fatto ieri, con la bella e coraggiosa intervista di Mariarosaria Guglielmi, che è la segretaria di Md, al nostro giornale), e dopo che aveva mollato Davigo e ostacolato la sua pretesa di restare al Csm in violazione della legge, è scattata la controffensiva della sua componente conservatrice, che ha attaccato dall’interno e poi è giunta fino alla scissione. Cioè a un gesto clamoroso e inedito.
Md reggerà, probabilmente, anche a questo colpo. E chiaramente il terremoto che è in atto cambierà i rapporti di forza all’interno della stessa Anm, dove recentemente Md, sfidando le tradizioni e i riti, aveva imposto alla presidenza, per la prima volta dopo decenni, un giudice, in contrasto evidente e sfacciato col partito dei Pm. Il presidente di Anm, da tempo incalcolabile, è un Pm.
Tutto questo, insieme a molti altri movimenti e mal di pancia provocati, comunque, dal Palamaragate, scuoteranno l’ambiente fino a mettere in discussione gli assetti della magistratura, i suoi rapporti con la società e la legalità, la possibilità di immaginare, dopo decenni, una riforma profonda della giustizia e il ripristino dello Stato di diritto?
Temo di no, per una ragione molto semplice. Il dibattito e il conflitto all’interno della magistratura non rispondono alle regole normali di una democrazia e di una società libera. Come mai? Perché quando si entra nel campo della giustizia, in Italia, si lascia il campo della libertà. Questo è un punto difficile da spiegare. È così. La nostra società, bene o male, è una società sostanzialmente libera, nonostante molte strettoie, molti grumi, molte spinte autoritarie. Però è in linea con le altre società occidentali. Forse solo un paio di spanne indietro. Nel campo della giustizia no: manca totalmente la libertà di informazione. In nessun altro settore del vivere civile è così. La stampa è libera, la televisione è libera, ed è libera di criticare, talvolta anche a sproposito, qualunque schieramento politico, o professionale, i medici, i commercialisti, gli architetti e i poliziotti, gli imprenditori, gli scrittori e i generali dei carabinieri, gli immigrati e gli homeless, senza limitazioni, come in tutto l’occidente. Non è libera neppure un poco quando si parla di magistrati. È del tutto subalterna e succube. Obbediente fino la servilismo. Il rapporto tra potere giudiziario e stampa non è diverso da quello che c’era da noi durante il fascismo, o nella Grecia dei colonnelli o nell’Ungheria o nella Germania comuniste. In nulla è diverso. La censura e l’autocensura sono assolute. I giornalisti ammessi alle sacre stanze devono far parte in tutto e per tutto della consorteria: altro che logge segrete! E questo rende difficilissimo l’emergere dei dissenso interno alla magistratura o di piccole o grandi ribellioni verso il partito dei Pm. Chi comanda in magistratura ha il potere di mettere a tacere ogni critica, e di punire chi ha criticato, senza che possa difendersi. Questo provoca la situazione di regime – sì, esattamente di regime, spesso anche violento, perché dispone delle prigioni, dei sequestri dei beni, della gogna – molto difficile da scalfire.
Pensate solo a come la stampa ha reagito alla grande amnistia decisa dalla Cassazione sul caso Palamara. Quando ha stabilito che i magistrati che si autopromuovevano o che promuovevano, presso Palamara, propri amici, non violavano nessuna regola. Ho scritto amnistia: sì, amnistia piena, celebrata in contemporanea alla condanna e alla cacciata di Palamara. È lui, solo lui, esclusivamente lui il male, e tutti gli altri sono perdonati. Punto. Guai a chi obietta. E infatti mi pare che solo noi del Riformista abbiamo obiettato.
Voi sapete quanti politici sono stati messi al bando per una raccomandazione. Qualcuno, anche recentemente, è stato persino arrestato. Da chi? Dai magistrati che decidevano che le raccomandazioni tra toghe, però, sono cosa buona e giusta. Avete letto qualche riga di critica? Forse Paolo Mieli sul Corriere. Un quadrifoglio. Apparso e poi rapidamente sepolto dalle righe e righe e righe dei “giudiziari di professione”.
Qualcuno può fermare questo degrado? Può avviare una transizione? In Spagna, quasi mezzo secolo fa, fu il re che garantì la transizione tra dittatura e democrazia, dopo la morte di Franco. Qui da noi, forse, solo il Presidente della Repubblica potrebbe fare qualcosa del genere. Però dovrebbe chiedere lo scioglimento del Csm (lui, come ha detto più volte, non ha il potere per scioglierlo), chiedere una riforma che limiti il potere giudiziario, chiedere al Parlamento di uscire dalla sudditanza a Beppe Grillo e a Marco Travaglio. Lo farà?
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