A Palermo c’è una piazza antistante il Palazzo della Camera di Commercio, di fronte all’ingresso principale del Porto. Più che una piazza è uno slargo, in fondo alla centralissima e pedonale via Emerico Amari, noto giurista e patriota risorgimentale della ex Felicissima città. Anche se i palermitani di oggi difficilmente risponderanno su chi sia Emerico, o Francesco Crispi, unico presidente del consiglio nato a Palermo.
Questo luogo, sopra una rosa dei venti disegnata sul basolato, al calar del sole ospita nugoli di ragazzini, con magliette disparate, che giocano a calcio usando le panchine come porte. Sono di razze, etnie, provenienze diverse. Cinesi, bangla, filippini, srilankesi, tunisini, e autoctoni del quartiere Borgo Vecchio, una borgata popolare in pieno centro città prospiciente il Porto. Non c’è un campetto dove giocare in questo quartiere, ce n’era uno ma è andato diruto, come molti luoghi cittadini, per carenza di manutenzione ed incuria. Ci sono altri sport esercitati al Borgo, come le corse clandestine dei cavalli, che vengono tenuti nascosti qui, tra baracche e garage, di vicoli dove non passa lo straniero.
Nella pizza della rosa
Il Mare ed il Porto sono stati ignorati per anni da questa città, essendo un’enclave straniera le autorità portuali sono dello Stato, e non dei palermitani. Il vecchio nome di Palermo è Panormus, “Tutta Porto”, ma nonostante questo dal dopoguerra i palermitani si sono discostati dal mare, dove si affaccia anche il centro storico con il suo “Cassaro”, il vecchio impianto urbanistico di derivazione araba. Nella piazza della rosa dei venti i ragazzini inseguono il pallone, chiamandosi tra loro, i volti, le pelli, gli occhi sono diversi, differenti, ma parlano tutti palermitano, il dialetto che come un esperanto attraversa le classi sociali, braminiche, perfora le barriere di razza, in una città sempre più multietnica come lo sono le città di mare. E non potrebbe essere diversamente, in una comunità, che per quanto non lo valorizzi, a parte la borgata di Mondello che va sempre in televisione, è tutta affacciata sull’acqua del golfo che va da Monte Pellegrino, il promontorio di Goethe, a Capo Mongerbino.
I picciotti
Ridono senza paure, senza odi o disprezzo, i picciotti del futuro di Palermo, in una città che soffre la denatalità come le altre. I nomi cambieranno, spariranno i Salvatore, detti Totò, come Schillaci, il più famoso di tutti, che ci ha lasciato l’altra settimana. I nomi saranno altri, ma le risa, la gioia di tirare un calcio al pallone, sarà sempre la stessa, come i cuinnuto ed arruso e sbirro detto da un “bangla” ad un ragazzino dagli occhi a mandorla, che risponde ’a to suoro, insieme a qualcos’altro di incomprensibile nella sua lingua madre. Palermo per campare deve inventarsi un miracolo tutti i giorni, ma questo della “non” piazza della rosa dei venti, la piazza dei picciotti del futuro, è il più bello di tutti.