Nel “Si&No” del Riformista spazio al dibattito sul Palio di Siena: è una tradizione che va conservata o no? Lo abbiamo chiesto a Claudio Borghi Aquilini, Senatore della Lega, che è favorevole al mantenimento della tradizione, e a Michela Brambilla, Senatrice e presidente LEIDAA, che, al contrario, pensa sia giusto abolirlo.

Qui di seguito il parere di Claudio Borghi Aquilini.

Avevo sempre visto il Palio di Siena in televisione. Era uno di quegli appuntamenti fissi che per un bambino volevano dire estate, con tutto il contorno di gioia e novità che questa stagione portava. I cavalieri in parata, le bandiere al vento, quasi tutte uguali nello schermo in bianco e nero della televisione. Tante Contrade, poi la corsa finiva in un lampo e un altro anno era passato.

Il primo Palio a Siena invece lo vidi 22 anni fa, era il Luglio del 2001. Per me “ex ante” era un evento come un altro, uno di quelle occasioni dove i principali clienti della banca venivano portati in situazioni esclusive: era il Palio ma avrebbe potuto essere un Gran Premio o il Festival del Cinema. Quasi più noia che entusiasmo.

Non appena misi piede “sulle lastre” però mi resi immediatamente conto che stavo entrando in una dimensione diversa da qualsiasi altra cosa avessi visto prima. Ricordo quelle prime sensazioni come fosse adesso: la tempesta di colori, le bandiere ovunque, i fazzoletti al collo dei contradaioli, il cielo di cobalto, lo splendore dei monumenti e i canti, i tamburi, la folla… E non era ancora il giorno del Palio! La Festa mi entrò dentro sfondando le piccole resistenze offerte dai sensi, gli occhi faticavano a contenere tutto, le orecchie stentavano a distinguere le parole dei canti ma ne volevano ancora. Il profumo della città, la pressione della gente schiacciata contro di me.

“Spostatevi passa la Chiocciola” e via un fiume di persone dal colore rosso vivo che cantavano camminando dietro al cavallo: uomini donne, bambini. Io ero abituato a lavorare nella sala operativa di una banca: qui c’era VITA e più vita di quanta ne avessi mai vista. Vidi la Prova Generale dal balcone di un appartamento che pareva un museo e l’affaccio sulla Piazza mi tolse il fiato: una folla immensa in un teatro di bellezza sublime, la Torre del Mangia più ardita di qualsiasi grattacielo, gli stendardi, le insegne di nobili famiglie spiegate al vento sui palazzi meravigliosi. La carica dei Carabinieri a cavallo, il mortaretto, le contrade finalmente in Campo, i fantini segnati a dito. Trecciolino, Cianchino, Dé… I nomi delle Contrade ripetuti come formule magiche: Giraffa, Nicchio, Aquila… I nomi dei cavalli: Altoprato, Zullina, Alghero… Dita che indicano, occhi luminosi, cori, canti, insulti, acclamazioni.

Ero ormai totalmente ebbro: volevo vedere tutto. Si cenò per strada, sotto le stelle, in centinaia a tavola nella via Pantaneto, ospiti della contrada del Leocorno: i canti dei bambini, la felicità di tutti, l’augurio dell’anziano Priore “s’è fatto trenta, facciamo trentuno!” perché la contrada aveva vinto il suo trentesimo palio. Il giorno dopo era Palio! Il tempo non passava mai, l’ansia dell’attesa cresceva: lo squillo delle chiarine, la voce rauca della campana Sunto, la Passeggiata Storica che entra in Piazza, i tamburi, le bandiere, le armature dei Duci, le grida ai fantini sui soprallassi… E finalmente il momento! Tre giri di vertigine, chi pareva vincere rallenta, il tempo che inizia a dilatarsi, il cavallo abbandonato dal fantino che decide che lui solo può vincere e si getta all’inseguimento, infilandosi in una traiettoria impossibile all’ultima curva del Casato fra il frastuono immenso della Piazza. L’incredibile avviene e il cavallo, solo, mette la testa davanti a tutti trionfando. Attimi di delirio, lacrime a fiumi, grida folla che corre, i contradaioli del Leocorno che corrono da ogni parte per abbracciare quel cavallo che aveva vinto per loro. Il fantino si vende, il cavallo mai, lui è nato per correre e aveva preso alla lettera quel “Và e torna vincitore!” della Benedizione.
Questa è solo la copertina del Palio: sotto c’è una storia di secoli come secolari sono le tradizioni custodite con gelosia. Storia, passione, vita, rispetto e amore per il cavallo a cui la Contrada affida il proprio onore, infiniti aneddoti, rivalità, discorsi fatti di notte, strategie, sogni, speranze per il domani. Un tesoro da conservare e preservare a tutti i costi in un mondo che scivola sempre più verso l’entropia del tutto uguale.

Dopo quella volta il mio destino fu segnato. Iniziai a frequentare la Nobile Contrada dell’Aquila (Aquilini…), il suo Popolo mi accolse, mi battezzai pochi anni dopo, battezzati sono i miei figli e lo saranno i miei nipoti. Da allora quelle vie di Siena sono un po’ casa mia e quando morirò mi piace pensare che andrò insieme a tanti amici a prendere il cavallino, quello buono.

 

Claudio Borghi Aquilini

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