“Guardate come l’hanno ridotta, ancora discutiamo sulla violenza sessuale”. Alessandra Verni è arrivata in aula con addosso una maglietta: stampate sopra le immagini della figlia, Pamela Mastropietro, del suo corpo fatto a pezzi, smembrato dopo essere stata uccisa nel gennaio 2018 alle porte di Macerata. Al tribunale di Perugia era in programma un’udienza d’appello bis per l’omicidio della ragazza. L’imputato Innocent Oseghale, ex rifugiato nigeriano allontanato dai centri di accoglienza nelle Marche già condannato in via definitiva all’ergastolo per omicidio aggravato dalla violenza sessuale, vilipendio e occultamento di cadavere, deve rispondere di violenza sessuale per la quale la Cassazione ha rimandato gli atti a Perugia.

Altissima la tensione quando sono venuti brevemente in contatto la donna è venuta in contatto brevemente con l’uomo di origini nigeriane già condannato. “Dimmelo! Dimmelo!”, le parole della donna verso l’uomo circondato da agenti della polizia penitenziaria. L’uomo ha pronunciato nei confronti della madre parole incomprensibili anche dai video che sono stati girati. Oshegale ha anticipato che non assisterà alla prossima udienza. L’udienza è stata infatti aggiornata al prossimo 22 febbraio. I giudici della Corte d’Assise d’Appello di Perugia sono chiamati a decidere se confermare l’aggravante della violenza sessuale.

La 18enne si era allontanata da una struttura di recupero per tossicodipendenti di Corridonia. I giudici dovranno sentire anche i due uomini con i quali Mastropietro aveva avuto rapporti sessuali prima di morire. Uno dei due non si è presentato in aula senza presentare alcuna motivazione, la Corte ha disposto una sanzione pecuniaria di 250 euro e l’accompagnamento coattivo alla prossima udienza. L’altro ha presentato un certificato medico di convalescenza per la frattura di una costola.

“Mi aspetto giustizia da questo processo, quello che chiedo da cinque anni, giustizia. Ergastolo a vita per chi fa queste cose, Oseghale e tutti i suoi complici devono pagare”, ha urlato Verni all’esterno del Palazzo di giustizia di Perugia. Le sue parole riportate dall’Ansa: “Pamela è stata violentata, è stata uccisa, è stata bastonata in testa, è stata torturata, è stata fatta a pezzi. Mi aspetto che adesso lo Stato, la giustizia, le Procure facciano il loro dovere perché non si può permettere che dei carnefici girino a piede libero in una città, in Italia, perché nel nostro Paese questo non può essere accettato”.

All’esterno del Palazzo di giustizia di Perugia amiche e amici di Pamela hanno esposto striscioni che chiedevano Giustizia. Verni era stata anche ricevuta al Quirinale e al ministero della Giustizia. “Ci sono due persone che non sono state ancora tirate in ballo, africani come Oseghale, che faceva parte di una banda di pusher provenienti da Gambia e Nigeria. C’è il loro dna, di uno di loro sul corpo di Pamela, e anche su uno dei trolley dove è stata chiusa dopo l’omicidio. Dopo essere andata al Quirinale e al ministero ho un po’ più di speranze sul nuovo processo”, aveva dichiarato a Il Corriere della Sera in un’intervista.

Dopo la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Ancona nell’autunno 2020 Oshegale aveva ribadito di non aver ucciso lei Pamela ma aveva ammesso di averne sezionato il corpo per disfarsene perché non entrava in una valigia. “Ero sotto choc, confuso, agitato ho fatto una cosa terribile … mi dispiace”. Ha sempre sostenuto che Pamela accusò un malore in casa dopo essersi iniettata eroina. Il corpo della giovane venne ritrovato il giorno seguente all’interno di due trolley sul ciglio di una strada a Pollenza, vicino Macerata, dove Oseghale l’aveva lasciato. Secondo i giudici Oseghale uccise Pamela con due coltellate al fegato dopo aver consumato con lei un rapporto sessuale, approfittando dello stato di fragilità della ragazza con doppia diagnosi borderline e di tossicodipendenza.

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Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.