La mina occidentale
Panico da guerra commerciale: l’Occidente si sfalda e presta il fianco ai nemici. E Pedro Sánchez parte per la missione in Cina

Le divisioni generano incertezze, che a loro volta si trasformano in certezze sempre più solide allo sguardo attento dei radar di chi osserva con attenzione ogni piccolo dettaglio per capire quali mosse attivare nel prossimo futuro. Così i nemici dell’Occidente hanno individuato nel panico da guerra commerciale l’ennesima spaccatura in quel fronte che rappresenta la forza dell’impero americano nel mondo. Di più: l’emergenza dei mercati e il timore per le tariffe hanno completamente spodestato dall’attenzione mediatica i conflitti e il riarmo, dimostrando ancora una volta che il più grande limite occidentale sta nella fragilità dei sistemi economici e nell’interdipendenza delle economie. Elementi che rendono complessa una convivenza tra necessità e garanzie di sicurezza e stabilità economica.
La Russia non allenta il conflitto
Ancora una volta è stato il sangue a ridestare l’Occidente, a suonare la sveglia della storia: il sangue di 35 morti e oltre 100 feriti, colpiti dal raid russo sulla città di Sumy. Un attacco che Donald Trump ha condannato, avanzando però l’ipotesi che si fosse trattato di un errore. Mosca ha precisato: “Attacchiamo solo obiettivi militari”. Ma al di là dei contatti diplomatici, la Russia non è intenzionata ad allentare il conflitto, soprattutto in questa fase in cui “l’Occidente opulento” è in altre faccende affaccendato e in cui il richiamo dei listini di Borsa è più forte del tuonare dei cannoni e del sibilare dei missili.
Il caos delle dichiarazioni
Anche la risposta militare europea non ha mostrato alcuna certezza. Se la politica può permettersi qualche eccesso verbale e dichiarazioni ad effetto, l’apparato militare no, perché necessita di dati, numeri e soprattutto sicurezze che – per ora – la politica non ha fornito. Dunque, nel caos delle dichiarazioni, tutto sembra passare alla velocità di una storia su Instagram, ma “oltre cortina” – come si diceva un tempo – il metro di valutazione è totalmente diverso, e anche la percezione dello stato del conflitto sembra non mutare nonostante i flebili passi della diplomazia.
La formula
Gli Stati Uniti – impegnati nella ricerca di una tregua che sia preludio immediato alla pace in Ucraina – si preparano a smobilitare in Europa gran parte della loro presenza, utilizzando una meno allarmante formula di burocratese militare che ha per oggetto una riorganizzazione dei comandi delle forze Usa tra il vecchio continente e l’Africa. La testa di Washington batte nell’Indo–Pacifico, dove le criptiche mosse di Pechino tra propaganda e piccoli passi sembra volgere al peggio. Su questo fronte colpisce il doppio metro politico mediatico con cui viene consentita – e in un certo qual modo elogiata – la missione in Cina del primo ministro spagnolo – il “compagno” Pedro Sánchez – mentre si è alzato un polverone sul viaggio di Giorgia Meloni a Washington per tentare di evitare una lesione economica tra Europa e Stati Uniti.
L’apertura di Madrid a Pechino rappresenta un passo indietro rispetto al fronte comune per evitare che il Dragone continui ad infiltrare il cuore dell’Occidente: è il segnale di come, oggi più che mai, il blocco atlantico appaia diviso e dunque vulnerabile. Ritrovare l’unità e allontanare le nubi dell’incomprensione è l’unica strada per un futuro più sicuro. Del resto, come hanno detto i vertici militari di Londra e Parigi ai loro governi, “senza Washington non si può fare”.
© Riproduzione riservata