Paola Concia, una vita dedicata a battaglie di libertà. Una storia politica variegata, dal Pci al Pds ai Ds, ex parlamentare. Protagonista suo malgrado di una vicenda surreale, chiamata dal Ministro Valditara a far parte, per poi venire subito revocata, di un gruppo di lavoro sulla violenza sulle donne.

Come l’hai presa?
«Sono spesso in Italia per lavoro, con la politica ho preso le mie giuste distanze, quindi la guardo un po’ da lontano e mi è sembrato tutto una gran caciara. Una polemica assurda, addirittura la raccolta di firme neanche fossi veramente il diavolo! Da una parte e dall’altra poi, essendo io una riformista, non vado bene nemmeno a certa sinistra massimalista, perché sono una dialogante».

Qualcuno ha pensato a un’improvvisazione un po’ strumentale di Valditara per prendere un simbolo…
«Non è così perché io e Valditara lavoriamo insieme, e anche molto bene, da quando lui è ministro. Io organizzo in Italia da 7 anni Didacta Italia, l’evento più importante sulla innovazione della scuola, che è tedesco e che ho importato. E con lui lavoro perché il maggiore partner è appunto il ministero, e in queste sette edizioni ho cambiato sette ministri. Mi aveva parlato di questo progetto che stava portando avanti da agosto e ci è sembrato naturale che dessi una mano, ovviamente pro bono, con le altre due persone scelte. Sembrava una cosa così normale che poi siamo rimasti spiazzati».

In cosa consiste quindi questo progetto e come si sarebbe sviluppato?
«Sono state dette tutte falsità. Il progetto è intanto facoltativo perché segnalo che la scuola è già iniziata. È un progetto di trenta ore in cui, in ogni classe, si fanno gruppi di discussione tra ragazzi e ragazze sul tema specifico della violenza sulle donne e sullo stato delle relazioni tra di loro, i protagonisti sono i ragazzi. Si crea quindi un clima agevolato dagli insegnanti, prontamente formati da Indire e dagli psicologi, che moderano e coordinano questi gruppi. È quindi un progetto culturale, di questo si tratta».

Quello che fa sorridere ma anche rabbia è che poi il leitmotiv su questo tema è che non basta un’impostazione securitaria ma serve un lavoro culturale, e cosa c’è di più di un lavoro del genere nelle scuole?
«Esatto. Poi sono rimasta abbastanza sconcertata da questa canizza, di questa roba brutta a prescindere da me. Io sono stata criticata solo per la mia biografia, nessuno sapeva niente di questo progetto e poi ci sono andate di mezzo anche le altre due. Ma quello che mi ha fatto abbastanza orrore è che questa povera Giulia, e con lei tutte le vittime di femminicidio, una cosa del genere non se la meritavano, con tutto il paese giustamente sconvolto dalla sua morte e poi, nel momento in cui veniamo chiamati a responsabilizzarsi e a fare delle cose, la politica ci ha fatto una figura veramente penosa».

Non è una novità che queste critiche non arrivino soltanto da destra, anche perché nella tua vita hai “preso schiaffi” a destra come a sinistra. Anche in questa occasione ti hanno dato della “sciocca che si fa abbindolare, della foglia di fico”. Fa riflettere che una reazione del genere ci sia stata anche a sinistra.
«A sinistra, in quello che era il mio partito, non hanno fiatato quando Pro Vita ha raccolto le firme, non hanno fiatato perché una parte di massimalisti del Pd probabilmente sta sull’Aventino, mi hanno chiamata privatamente senza che ci fosse uno ad esporsi pubblicamente, perché loro proprio non vogliono che una persona di sinistra partecipi a un progetto culturale col centrodestra. Io sono sempre stata molto criticata e non amata, essendo una persona dialogante sui diritti civili con Fini, con Perina, con la stessa Meloni, con Mara Carfagna».

Sul tema della surrogata peraltro hai una posizione “non allineata”, diciamo.
«Io sulla maternità surrogata non farò mai una battaglia, anche perché trovo surreale che in Italia il movimento Lgbt faccia una battaglia su questo quando se ne dovrebbe fare un’altra sul matrimonio per tutti e sulle adozioni per gli omosessuali. Anche perché la surrogata riguarda uno zero virgola, mentre l’altra riguarderebbe tutti quelli che vogliono avere figli. Non condivido poi neanche il reato universale, che è figlio di una visione ugualmente ideologica».

Secondo me questo è pari al reato transnazionale degli scafisti, per cui si arresteranno gli scafisti in tutto il mondo…
«È senza senso. Legittimamente non condivido alcune battaglie del movimento Lgbt, perché non mi danno loro la patente. Per essere un’attivista dei diritti civili e delle donne non ho bisogno di patenti da nessuno, c’è la mia storia che parla».

Gli attacchi sono arrivati anche per la tua partecipazione ad Atreju. È anche surreale che da destra siano arrivati i veti al tuo progetto e poi tre giorni dopo ti arriva l’invito alla festa nazionale del primo partito di governo.
«È vero. Ma va detto che Donzelli mi aveva chiamato una decina di giorni prima. Però poi è passata come se fosse un risarcimento. Io avevo accettato prima e sono stata attaccata anche per questo. Ho detto poi che se il movimento Lgbt vuole fare la battaglia sul matrimonio, sulla legge contro l’omotransfobia, sulle adozioni, mi troverà sempre accanto. Roccella poi furbescamente ha definito come ‘nuovo patriarcato’ la teoria gender, ma io ho semplicemente detto, perché esistono gli studi di genere non le teorie gender, che non condivido il linguaggio inclusivo che esclude le donne, cosa già detta a luglio e lì hanno fatto un marmellatone, lì è stata la sinistra che mi ha riempito di insulti sui social».

Si è aperta una discussione del patriarcato, se sia ancora vigente e condizionante nella crescita culturale dei ragazzi portandoli anche a derive violente. Poi c’è stato il contributo della pandemia nell’esasperazione di determinati comportamenti. Che ne pensi?
«Il patriarcato è una parola che fa venire l’orticaria agli uomini ma è onnicomprensiva di una serie di culture, quella del possesso, delle discriminazioni, degli stereotipi. Pensa solo ai salari delle donne più bassi. Patriarcato è un progetto culturale e nella nostra cultura occidentale esiste ancora questo forte retaggio. Poi se non lo si vuole chiamare cosi sempre quello è, il machismo, il maschilismo, questa idea della donna inferiore che è ancora molto presente».

Solo accettare come normale la disparità salariale tra uomini e donne che fanno lo stesso lavoro già dice quanto vi sia proprio una mancata crescita culturale nel nostro paese.
«Esatto, è una mancata crescita culturale. Noi donne abbiamo fatto la famosa rivoluzione gentile, siamo molto cresciute mentre penso che gli uomini siano cresciuti meno. Per questo i ragazzi, sin da piccoli, devono imparare ad avere a che fare con donne libere di dire di no, di avere la propria vita. E questa è una cosa che devono imparare partendo da sé stessi, sapendo che si portano dietro tutto quel retaggio culturale, devono fare uno strappo dentro di loro, essere consapevoli. E tutto ciò è un progetto culturale».

Che non si risolve certo con le trenta ore, però bisogna pure iniziare…
«Certamente. I ragazzi maschi devono dire di sé, e le ragazze devono imparare a volersi bene, per cui al primo schiaffo devono andarsene. Non puoi stare con uno che ti picchia o che fa lo stalker come Turetta con Giulia, non è normale. Per quanto riguarda la pandemia – noi con Didacta ci abbiamo lavorato – bene che il parlamento abbia rifinanziato la legge sul bonus psicologo perché lì c’è stato un isolamento. Immagina la nostra generazione chiusa in casa per mesi a 15 anni, sicuramente ciò ha determinato problemi per i ragazzi. Flavia Perina mi raccontava che i ragazzi e le ragazze si scambiano le password dei loro account sui social, il che è un controllo reciproco tra loro agghiacciante, si geolocalizzano per cui uno sa sempre dove sta l’altro. È chiaro che se poi la relazione si interrompe si va nel panico, perché c’è una dipendenza reciproca. Ma spiegare che ciascuno di noi è un’individualità è fondamentale, nella pandemia le relazioni esistevano solo tramite social. È un grande lavoro da fare, la scuola farà il suo ma poi servono anche la famiglia, i media, i social, insomma è un vasto programma».

Siamo prossimi al Natale in cui si è tutti più buoni e magari l’auspicio è che nel 2024 la politica, da un lato col governo che riprende in considerazione l’apporto che una persona come te può dare e dall’altro, con quelli che fanno gli schizzinosi interpretando il valore democratico della partecipazione anche con persone “nemiche”, compia anch’essa un’evoluzione culturale.
«Me lo auguro».