Paolo Macry, docente universitario di storia contemporanea, contributor dell’Enciclopedia Italiana e editorialista di prestigiose testate, crede che il centro liberale possa esistere. A condizioni che precisa qui.

Lo spazio politico-culturale per un’area liberaldemocratica esiste, lo vede, in Italia?
«La risposta è sì, ma la verità è che veniamo da trent’anni di seconda Repubblica con il suo bipolarismo forzoso. Dire che ha fallito i propri obiettivi è dir poco, lo spiega bene Craveri nel suo libro “L’Arte del non governo”. Siamo nell’epoca del non governo, con coalizioni spurie, costruite sulle contraddizioni. Tutto sommato uno spazio c’è, ci sarebbe. Se in qualche modo le leggi elettorali hanno spinto o costretto a procedure coalizionali, è evidente che per uscire da questa crisi di sistema che dura da decenni bisogna rompere questo schema. Ripartire quindi da una nuova legge elettorale, anche se nessuno impedirebbe già oggi a un terzo polo di farsi largo tra le due coalizioni. I partiti si sono ingrassati ma sono anche collassati, in questi trent’anni».

Anche lei ha la sensazione nella società sia presente, attiva, una pulsione liberale e perfino libertaria sul fronte dei diritti? Il Paese reale sembra essere in realtà molto avanti rispetto a quello formale…
«Sottoscrivo ogni parola. Penso che il punto sia esattamente questo: quando parliamo di leggi, di politicismi, è un conto. Poi c’è il Paese reale. Se si spogliano tutte le riforme delle bandiere ideologiche, dal premierato alla separazione delle carriere, dalle riforme fiscali all’autonomia differenziata, amplissimo sarebbe il consenso. Penso esista un’Italia fatta di giovani, di spiriti liberi, di persone valide, globalizzate, competenti. Ma spesso la politica non li sa coinvolgere. I partiti non parlano ai migliori».

Un problema di offerta politica?
«Certamente. Il problema dei riformisti è che oggi faticano a ritrovarsi in uno dei partiti esistenti. Servirebbe un nuovo soggetto politico, ma definire che cosa è e che cosa dovrebbe essere un nuovo soggetto politico oggi si fa complesso. E si aggiunga che non tutti i progetti politici devono sfociare in un partito. Ci può essere anche un impegno diverso. Le vecchie strutture di partito si scontrano con le dinamiche nuove dei social, della rete…».

Certo poi ci sono le prove elettorali. Dopo le europee, le regionali. In Liguria Renzi appoggia Bucci al comune di Genova e sta contro Bucci in Regione. Cosa deve pensare l’elettore centrista?
«Un testacoda eloquente di questo momento confuso. L’elettore centrista dovrebbe iniziare a dubitare dell’intelligenza politica di Renzi, a cui pure molti – tra cui il sottoscritto – avevano creduto. Ormai Renzi non guarda più in là del suo naso, si fa sorpassare dagli eventi. Appare molto opinabile quello che sta facendo in questo momento, sceglie il Pd nel momento in cui va più a sinistra. E in Liguria, poi, con quella vergognosa ammucchiata giustizialista sul caso Toti. Purtroppo il nostro Renzi è vittima di se stesso…».

Infatti Marattin se ne va. Altri da Azione raggiungerebbero Forza Italia. E’ il destino dei liberali quello di dividersi?
«La cultura liberale nel Novecento è sempre stata schiacciata da aree politiche meglio organizzate. Oggi siamo davanti all’incapacità politica di due leader, Renzi e Calenda, che hanno mandato a monte un tesoro. Un pacchetto dell’8% che ne avrebbe fatto l’ago della bilancia. Aver rinunciato a stare insieme per questo continuo combattimento di galli è insipienza politica, è stato un errore imperdonabile. Chi oggi vuole provare a ricostruire un polo liberaldemocratico troverà consenso tra gli elettori a condizione di saper unire, aggregare, mettere insieme e non dividersi più».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.