Con quasi 12 anni di Pontificato e 47 viaggi apostolici, si chiude il capitolo dell’argentino – in realtà di italianissime origini – Jorge Mario Bergoglio alla Santa Sede. Un Papa discusso, un uomo certamente molto più complesso del modo in cui ha scelto di essere ricordato dal mondo. Dopo una prima impressione di generica simpatia che ha riscosso a livello globale, il Santo Padre ha suscitato non poche polemiche tra il suo variegato gregge, in un primo momento affascinato dalla sua espressione semplice e dall’umiltà dei suoi modi.

Francesco, primo del suo nome, fiero della sua croce vescovile che non cambia con quella papale, Francesco che riceve gli omaggi dei cardinali in piedi anziché sul trono, Francesco che non indossa le scarpe rosse, Francesco che paga il conto in albergo come tutti e che telefona nelle case degli italiani, Francesco che va in autobus, Francesco che vive a Santa Marta. Tutte dinamiche nuove per un Papa ma in un certo senso scontate, che sigillate dal “buona domenica e buon pranzo” post Angelus hanno iniziato a far serpeggiare – e già dal momento in cui Bergoglio godeva di generica simpatia – una forte nostalgia dell’immensa potenza spirituale che Wojtyla comunicava semplicemente con uno sguardo, e delle altissime vette che Ratzinger toccava con la sua squisita teologia.

Eppure al di là di queste prime impressioni c’erano comunque curiosità e aspettativa per questo Pontefice che sembrava voler essere diverso o giocarne il ruolo, ma ora che si è visto quel che c’era da vedere, ci è concesso tirare le somme. Il Pontificato di Francesco ha coinciso con la Terza Guerra Mondiale “a pezzi”, come lui stesso l’ha definita ma nonostante il grande spazio a disposizione su cui esercitare il potere di rappresentante di Dio in terra, sembra che il suo contributo si sia limitato ad esortare i popoli alla pace – tra l’altro in modo discutibile, come abbiamo visto nel caso dell’Ucraina, dove Bergoglio ha essenzialmente incoraggiato Kiev ad alzare bandiera bianca, articolando il discorso sul “coraggio” necessario per riconoscere che è tempo di negoziare, che a negoziare non c’è da vergognarsi, anche perché il popolo ucraino beneficerebbe dell’aiuto delle potenze internazionali per condurre i negoziati. Il Santo suggerimento ha provocato un rispettoso, seppur deciso no da parte di Zelensky, e una reazione più piccata del ministro degli Esteri Kuleba, che ha fieramente dichiarato che l’unica bandiera che l’Ucraina alzerà mai, sarà quella gialla e blu.

Chi ipotizza che il Pontefice abbia simpatizzato silenziosamente per Putin si spinge troppo oltre, Putin non è Gorbaciov e rappresenta un tipo di politico e di uomo che non potrà mai essere appoggiato da un Papa, neppure in sordina. Nonostante ciò la metafora, applicata alla Nato del cane che abbaia alle porte della Russia, è stata pronunciata da Bergoglio e che la Santa Sede guardi alla Nato con diffidenza, è un dato di fatto già dai tempi della guerra dei Balcani. D’altra parte, i giochi di parole fuori luogo sono sempre stati una caratteristica del Pontefice e la sua incapacità diplomatica è ormai nota – un altro esempio di discorso che è decisamente sfuggito di mano a Sua Santità è stato proprio relativo al suo paese, l’Argentina, dove nel marzo del 2023 – pur senza fare nomi ma rivolgendosi certamente a Milei – in un’intervista al canale C5N, ha messo il popolo argentino in guardia da chi pretende dei voti senza una vera esperienza politica alle spalle, usando come termine di paragone la cosiddetta “sindrome del 1933” – chiaro riferimento agli albori del nazismo ai tempi di Weimar.

Lo scorso novembre, per tornare agli attuali conflitti in corso, il Santo Padre ha invece provocato le ire dei Rabbini italiani in quanto ha deciso di ricevere, insieme, i parenti degli ostaggi rapiti da Hamas con le famiglie di alcuni palestinesi attualmente nelle carceri israeliane.
Questo doppio invito esteso, per altro dopo aver rimandato per lungo tempo l’incontro con le famiglie israeliane – quando l’inclusione dei palestinesi non era ancora prevista – ha scatenato una serie di polemiche che hanno forse ancora a che vedere con l’affronto che la comunità israeliana ha percepito quando il Pontefice ha definito “genocidio” ciò che sta accadendo a Gaza, anche in contrasto con il rapporto dell’Onu che ha usato il termine “massacro”.

Naturalmente, non si dovrebbe perdere di vista la funzione pastorale del Pontefice che, sulla carta non dovrebbe coincidere con la politica.
Francesco, oltre a non aver eccelso nella sua funzione spirituale, si è dimostrato inesistente anche come attore politico e non solo per quanto concerne conflitti tra stati ma anche su questioni che riguardano direttamente la sua comunità cattolica. Ne è un esempio calzante la questione georgiana, dove il Pontefice nel 2016, in una missione pastorale che è partita con un abbraccio di dubbia utilità con il Patriarca ortodosso Ilia III, il quale, il giorno dopo ha disertato la funzione religiosa che è stata partecipata solo da pochi cattolici e un ancor più misero numero di ortodossi.

Al di là di una condanna formale nei confronti del proselitismo nei confronti degli ortodossi – cosa che ha generato polemiche tra certi cattolici – il Pontefice non ha contribuito, neppure in minima parte ad appianare le divergenze religiose che da decenni provocano gravi tensioni nel paese. Tuttavia, a questa apparente mancanza di fermezza e generale vacuità di intenti, sembra essersi contrapposto un forte decisionismo per quanto riguarda questioni interne alla curia e in più di un’occasione, tra una parola fuori posto e un gesto di troppo, è emerso in modo piuttosto chiaro che Jose Mario Bergoglio è stato un uomo dal carattere forte. L’impressione è quella di un uomo che ha giocato un ruolo, che facendo dell’umiltà di apparenza la sua bandiera, ha dimenticato di tradurla in sostanza.