Tra soldi (grandi quantità di trasferimenti con rendicontazioni difettose), presunte intromissioni dei servizi segreti, indagini vere (italiane), tentativi reiterati di discolparsi e depistare, il processo che vede coinvolto il cardinale Angelo Becciu merita un supplemento di analisi. Ogni giorno arrivano nuovi colpi di scena. Prima la telefonata al Papa di Becciu, registrata all’insaputa del Pontefice. Ora la chat di famiglia con giudizi taglienti anche sul Papa, come accerta l’indagine che si sta svolgendo in Sardegna.

Gli inquirenti parlano di una “sostanziale ostilità dei familiari e conoscenti di Becciu verso le autorità giudiziarie vaticane e verso il pontefice”. E poi il culmine. Becciu scrive del Papa: “Non pensavo arrivasse a questo punto: vuole la mia morte”. Che dire? Intanto il processo non solo prosegue ma è destinato a protrarsi, visto che l’ultimo sviluppo, in attesa della prossima udienza del 30 novembre, vede la conferma che il cardinale risulta ora indagato per associazione a delinquere insieme ad altre persone. Il filone d’indagine è parallelo al processo in corso sulla gestione dei fondi della Segreteria di stato, sia per il palazzo di Sloane Avenue a Londra, sia per i finanziamenti alla cooperativa Spes di Ozieri, gestita da uno dei fratelli del cardinale. E veniamo alla telefonata del 24 luglio 2021. Papa Francesco all’epoca era convalescente per l’operazione subita all’intestino. E Becciu, alla ricerca di un’assoluzione che poteva venire solo da papa Francesco, al quale l’ha chiesta insistentemente, ha pensato bene di registrare la conversazione, all’insaputa (ovviamente) dell’interlocutore.

L’agenzia stampa Adnkronos ha potuto accedere ai 5 minuti e 37 secondi di dialogo, contenuti in un’informativa della Guardia di Finanza di Oristano. La telefonata è stata rintracciata dalla Gdf, nell’ambito dell’inchiesta della procura di Sassari sulla Caritas di Ozieri su due telefoni e un tablet appartenenti a una degli indagati, Maria Luisa Zambrano, amica di famiglia dei Becciu. Il porporato parla anche dei soldi versati su indicazione di Cecilia Marogna ad un’agenzia britannica per la liberazione della suora colombiana rapita dai jihadisti in Mali. «Per il riscatto – ha riferito il Procuratore Diddi – Becciu chiede al Papa di confermargli che c’era stata la sua autorizzazione a versare i soldi. Nelle sue dichiarazioni, il cardinale ha detto che il Papa era al corrente, invece nella telefonata il Santo Padre resta perplesso. D’altra parte era da poco uscito dal suo ricovero, era affaticato». In concreto il cardinale chiede insistentemente al Papa di confermare che sapeva del trasferimento dei fondi per il riscatto della suora rapita in Mali (si parla di 500mila euro, parte dei quali sarebbero andati a Cecilia Marogna, la consulente presentatasi come persona in grado di avviare operazioni umanitarie segrete). Durante l’udienza dell’altro giorno, oltre alla telefonata, si è parlato dei documenti di trasporto del pane della Coop Spes alle parrocchie.

Si tratterebbe di 928 bolle di consegna che sarebbero servite a giustificare le somme erogate dalla diocesi alla cooperativa. Il procuratore generale Alessandro Diddi ha parlato di una falsificazione delle bolle di consegna di 18 mila chilogrammi di pane. Secondo la ricostruzione della Gdf sarebbero state realizzate poche settimane prima del processo. Anche se le consegne risalgono al 2018. Le Fiamme Gialle sono andate parrocchia per parrocchia a cercare i destinatari del pane e nessuno ha riconosciuto la propria firma sui documenti di trasporto. Di sicuro nelle udienze in calendario usciranno fuori altri particolari. Sull’opacità del sistema già si è detto e basta la sommaria ricostruzione di queste righe per evidenziarlo. Chiaramente la difesa di Becciu è tirare in ballo papa Francesco: se il Papa sapeva e dava una sorta di benestare al telefono, il cardinale si sarebbe sentito scagionato. Così non è avvenuto. Povero Papa, c’è da dire: da un lato tutto il sistema vaticano fa riferimento a lui, dall’altro – evidentemente – non può conoscere tanti dettagli, tanto avrà da fare nelle sue giornate, dovendosi fidare di collaboratori sui quali, poi, chi potrà mai certificare che abbiano compreso bene le questioni? O che lo informino per bene?

Ed arriviamo allo snodo di tutte le questioni: il sistema messo in piedi nei decenni, in Vaticano, per far funzionare tutta la macchina gestionale ed organizzativa. Organizzazione che a quanto pare presenta delle falle vistose, se la magistratura vaticana deve intervenire e poi, per l’osmosi che esiste con l’Italia, alle forze dell’ordine del nostro paese spetta sbrogliare parte delle indagini. In mezzo questa volta abbiamo il vescovo di Ozieri, con le mani legate, nella vicenda in questione, perché se un cardinale di Curia come Becciu dispone, un semplice vescovo non può far altro che abbozzare e mettere da parte eventuali sospetti (qualora ne abbia). Insomma abbiamo a che fare con un sistema di potere che gestisce i soldi come fossero proprietà privata, in tanti casi vengono da fondi di cui non si devono rendicontare i movimenti. E proprio nella estrema discrezionalità del sistema stesso si annidano malaffare, corruzione, vie brevi per arrivare a risultati che riguardano piuttosto interessi privati o privatissimi (leggi: familiari).

La questione non è semplicemente finanziaria, ma ha un connotato teologico molto importante. Forse sarebbe la volta buona di far fare alla Santa Sede un passo avanti, rendendo il Papa il capo spirituale della Chiesa cattolica, e scorporando il potere esecutivo e giudiziario – attualmente uniti, in barba a Montesquieu – per tutte le questioni riguardanti problematiche amministrative. Si tratterebbe di modernizzare lo Stato della Città del Vaticano, scorporandolo dalla Santa Sede, lasciando a cardinali e arcivescovi un potere di indirizzo e per tutto il resto inserire dei laici davvero autonomi e competenti a capo dei settori amministrativi, finanziari, gestionali. Ovviamente con un sistema efficiente, trasparente, certificato, di valutazione dei risultati operativi ottenuti di anno in anno. Solo così la riforma della Curia sarebbe non solo efficace, ma veleggerebbe bene in un mondo dove la Chiesa fa la parte opaca di un sistema poco chiaro. Ad esempio lo stesso Becciu nel 2018, in tempi non sospetti (sembrava un cardinale in ascesa), dichiarava che «non è facile riformare la Curia perché c’è in atto un peso di secoli e la complessità della struttura stessa. Non è regolata da un semplice regolamento né solo dal punto di vista della legislazione canonica. C’è anche la complessità della tradizione».

Quattro anni dopo, a riforma dei Dicasteri varata da qualche mese, vediamo che già fa acqua nella misura in cui non sono stati messi in discussione i fondamenti teorici su cui si basa e seguire “la complessità della tradizione” produce danni. Uno Stato efficiente e moderno – anche con la finalità di annunciare il Vangelo – dovrebbe discutere a fondo sulla tenuta o sull’anacronismo del primo comma dell’articolo 1 della legge fondamentale del Vaticano: “Il Sommo Pontefice, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario”. In Vaticano il potere temporale non è terminato, anzi gode di ottima salute. In realtà, vedendo tutti i guasti gestionali, si capisce che lo stato di salute è pessimo. E andrebbero messi in campo dei rimedi veri. Altrimenti si persevera nell’errore, come sanno bene gli psicologi cognitivo-comportamentali: vanno intaccate e discusse le premesse, per cambiare davvero.

Avatar photo

Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).