L'omelia del Papa e le critiche
Papa Francesco sta con i poveri, non perché è comunista ma perché lo dice il Vangelo

Rileggiamo un passaggio centrale dell’omelia di Papa Francesco di domenica 11, giornata dedicata alla Misericordia divina. Un tema presente fin dalle prime battute del pontificato nel 2013. Domenica scorsa papa Francesco ha ripreso e ribadito il neologismo applicato questa volta ai discepoli: sono stati “misericordiati”. Cioè la presenza di Gesù nella loro vita ha portato tre doni: la pace, lo Spirito, la capacità di chinarsi e prendersi cura degli altri.
Ed ecco Papa Francesco domenica: «Così hanno fatto i discepoli: misericordiati, sono diventati misericordiosi. Lo vediamo nella prima Lettura. Gli Atti degli Apostoli raccontano che “nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune” (4,32). Non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro. Ed è tanto più sorprendente se pensiamo che quegli stessi discepoli poco prima avevano litigato su premi e onori, su chi fosse il più grande tra di loro (cfr Mc 10,37; Lc 22,24). Ora condividono tutto, hanno “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). Come hanno fatto a cambiare così? Hanno visto nell’altro la stessa misericordia che ha trasformato la loro vita. Hanno scoperto di avere in comune la missione, di avere in comune il perdono e il Corpo di Gesù: condividere i beni terreni è sembrato conseguenza naturale. Il testo dice poi che “nessuno tra loro era bisognoso” (v. 34). I loro timori si erano dissolti toccando le piaghe del Signore, adesso non hanno paura di curare le piaghe dei bisognosi. Perché lì vedono Gesù. Perché lì c’è Gesù, nelle piaghe dei bisognosi».
Ho voluto sottolineare in neretto alcune frasi importanti e che hanno provocato commenti e anche polemiche. Papa Francesco quando insiste su questi temi non è ‘comunista’ e neppure ‘populista’. È semplicemente evangelico, segue il Vangelo, gli Atti degli Apostoli, la tradizione dei Padri della Chiesa. La ricchezza – è una dottrina comune nei Padri, da Origene a Giovanni Crisostomo, da Clemente Alessandrino ad Ambrogio – serve per fare del bene agli altri. Non è condannata, non è stigmatizzata. E non è comunismo, come dice Papa Francesco. È la dottrina della Chiesa da sempre. Anche la tradizione del Primo Testamento è sulla stessa linea. Il messaggio della Bibbia, ad esempio attraverso i Profeti, tocca le strutture sociali. Il profeta Isaia ad esempio ha parole di fuoco contro chi accumula. “Guai a voi, che aggiungete casa a casa e unite campo a campo, finché non vi sia più spazio, e così restate soli ad abitare nel paese” (Is. 5,8).
La terra è di Dio – è l’idea di fondo espressa dal profeta Isaia: un messaggio forte e trasparente per le strutture politiche di quell’epoca. Un messaggio che Papa Francesco – sulla scia della Dottrina Sociale della Chiesa – riporta ed attualizza oggi quando mette al centro della riflessione la tematica ambientale. La Dottrina Sociale insiste sul “comunismo” cristiano: la destinazione universale dei beni, la necessità di utilizzare in maniera consapevole le risorse, la tutela del futuro delle prossime generazioni, la ricchezza e il benessere che devono venire reinvestiti per migliorare le condizioni di vita degli uomini e delle donne del nostro tempo (e di ogni tempo). Ed è un messaggio impegnativo per i “responsabili” della “cosa pubblica” che hanno il dovere di anteporre gli interessi della collettività al loro “particulare”.
Negli Atti degli Apostoli il messaggio sociale si fonde con lo stile di vita personale. È lo stile di vita delle comunità religiose, degli ordini mendicanti, dei monasteri, fin dai primi secoli. Povertà personale e i beni della struttura religiosa a servizio della comunità. Certamente nel corso della storia ci sono stati passaggi e fasi non sempre in linea con il messaggio biblico ed evangelico, tuttavia il filo conduttore è chiaro ed evidente, al di là delle contingenze di ogni epoca e della fallacia delle singole persone. Lungo i venti secoli di storia cristiana si vede con incredibile chiarezza il “filo d’oro” che unisce il Vangelo e i poveri. Ogni volta che i credenti si sono allontanati dal Vangelo hanno abbandonato anche i poveri con la scusa che sono “pericolosi”, che portano scompiglio nella società. E così oltre. Ed ogni volta che i cristiani hanno cercato di ritornare al Vangelo e di riformarsi (ossia di tornare ad avere la “forma” del Vangelo) sono ripartiti sempre dai poveri. È il senso della scelta di Papa Francesco.
La Chiesa si riforma – ossia riprende la “forma” del Vangelo – se si riparte dai poveri. E il perché è semplice. Se Dio è misericordia, la Chiesa deve essere abitata dalla misericordia. La misericordia trasforma la vita dei discepoli, spiega Papa Francesco, al punto da lasciare tutto e seguire Gesù: è quel che accade, appunto, dopo Pentecoste quando i credenti decidono di dare vita a uno straordinario e inedito percorso missionario che ci ha portati fino al 2021. La riflessione sui beni e sulla loro destinazione nasce insieme con il cristianesimo. Come dice Pietro al paralitico: non possiedo beni e ricchezze, ma quello che ho è dirti, nel nome di Gesù, alzati e cammina. Tutto qui. Semplice, efficace, straordinario e conturbante allo stesso tempo. La Chiesa oggi deve riprendere a camminare come fece Pietro allora, come indica Pietro oggi.
In questo tempo di Covid-19 va ripresa questa strada: tutti siamo interconnessi e viviamo tutti su un unico pianeta. Possiamo continuare a chiudere gli occhi sulle disuguaglianze drammatiche che continuano ad allargarsi e che sono fonte di conflitti, di guerre e di emarginazione? La lezione del coronavirus è chiara: ci salviamo solo assieme. Nessuno può salvarsi da solo. Una piccola molecola ci ha messi tutti in ginocchio. Non ci si rialza da soli. Possiamo metterci in piedi solo assieme. Mai come in questa terribile congiuntura siamo chiamati a diventare consapevoli di questa reciprocità che sta alla base della nostra vita. Accorgendosi che ogni vita è vita comune, è vita gli uni degli altri, degli uni dagli altri. Quello che accade all’altro riguarda anche me. Siamo quindi chiamati a riconoscere, con emozione nuova e profonda, che siamo affidati gli uni agli altri. Mai come oggi la relazione di cura si presenta come il paradigma fondamentale della nostra umana convivenza. Abbiamo plaudito alla globalizzazione economica, alla inedita possibilità di allargare i mercati, merci e risorse in maniera rapida e veloce. Ma non abbiamo globalizzato la fraternità, la democrazia e ancor meno la misericordia. Anzi a volte sembra che globalizziamo la spietatezza. E poi abbiamo scoperto che la globalizzazione economica ha un risvolto sociale notevole: se le frontiere tracciate sulla carta geografica si annullano di fronte al libero mercato, a maggior ragione non tengono di fronte alla diffusione di un virus. Come non tengono davanti alle moltitudini che spingono per raggiungere l’Occidente.
Dobbiamo capire una volta per sempre, e tutti – cioè ognuno di noi – che le frontiere non esistono, non devono esistere per contrapporci, per separarci. Semmai dobbiamo riscoprirle come “limes”, come soglia che si permette di unirci, di connetterci. Siamo tutti parte di una medesima umanità e tutti insieme in cammino per raggiungere una terra promessa: impegnarci per migliori condizioni di esistenza per tutti. In questo senso le risorse possono e devono venire redistribuite. È comunismo? No. Prima di tutto è “buon senso economico” e in secondo luogo è la promessa della fratellanza universale: è il messaggio del cristianesimo, delle religioni mondiali, dei movimenti culturali, è il pensiero delle più importanti figure che ispirano la vita e l’opera di milioni di uomini e donne.
Per i cristiani è l’esperienza di Gesù a trasformare la vita e vale per i discepoli e vale per tutti noi attraverso la lettura del Vangelo e attraverso il messaggio della Chiesa. Come ha detto Papa Francesco alla fine dell’omelia di domenica: “Non rimaniamo indifferenti. Non viviamo una fede a metà, che riceve ma non dà, che accoglie il dono ma non si fa dono. Siamo stati misericordiati, diventiamo misericordiosi. Perché se l’amore finisce con noi stessi, la fede si prosciuga in un intimismo sterile. Senza gli altri diventa disincarnata. Senza le opere di misericordia muore”.
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