Erano due anni fa. Il Presidente Mattarella convoca al Quirinale l’economista Carlo Cottarelli, ed eccolo che fa capolino tra i Corazzieri. Da solo. A piedi. Con uno zainetto leggero in spalla. È l’uomo dei tagli da quando Enrico Letta lo nominò Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica. Il professore di Cremona, da sempre schivo, riceve l’incarico di presidente del Consiglio. Accetta con riserva, ma dura tre giorni: constata le condizioni per un governo politico, il Conte I. E rinuncia, tornando ai suoi libri, all’attività di formazione, all’Osservatorio sui Conti pubblici. Prima di allora era stato indicato dal governo Renzi come direttore esecutivo nel Board del Fondo Monetario Internazionale. Esperienze di grande respiro internazionale che oggi lo portano a puntare il dito sulla giustizia: «Con quel freno a mano tirato, l’Italia non ripartirà mai». La giustizia è oggi il più grande freno per l’economia. Ce lo dicono gli imprenditori. Se chiediamo agli imprenditori stranieri perché non vengono a investire in Italia, ai primi posti nelle loro risposte troveremo sempre la lentezza della giustizia civile. Se hai un contratto e le cose vanno male, vai dal giudice e aspetti otto anni. C’è bisogno di certezze. E non è solo un problema di giustizia civile: nel penale le incognite aumentano a dismisura. Bisogna semplificare il codice appalti, fare i controlli a campione in corso d’opera, punendo severamente chi sgarra. Vanno dunque affiancate giustizia civile, penale e amministrativa, che devono correre.

Pensa alla riforma del Codice Appalti?
È inevitabile. Quello che abbiamo oggi effettivamente è molto pesante. L’alternativa è dire: ce lo teniamo così com’è ma facciamo tutto sempre in deroga. Si può vivere in uno stato di eccezione permanente? Io dico di no. Regole chiare, attuabili, che garantiscano correttezza per tutti. Altrimenti non si va da nessuna parte.

Ha in mente una riforma?
Applicare in maniera più normale le procedure europee. Uniformarle. Il motivo della corruzione non può essere disincentivante. Bisogna poter fare, poter lavorare tutti. In un quadro normativo chiaro, semplice, trasparente.

I processi penali invece sono stati controriformati, in Italia. Adesso non hanno più scadenza.
Ed è sbagliato: il punto è rendere i processi più veloci.

E come si fa?
Abbiamo fatto una proposta con alcuni esperti: lavorare su piani diversi, rendere meno conveniente per le parti tirare in lungo il processo. Il concetto della velocità deve entrare nella qualità della sentenza, perché il tempo è un fattore di qualità. Bisogna poi introdurre elementi di buona gestione, di managerialità nei tribunali. Agganciare la progressione in carriera alla capacità gestionale del processo.

L’abuso d’ufficio va riformato o cancellato del tutto?
È opinione comune che un qualche reato si debba configurare, ma non può più esistere questa lettura ampia della fattispecie. Credo che nel decreto semplificazione ci sarà attenzione sul tema.

Gira un’agenda Cottarelli. Un suo piano strategico.
Ho lavorato con un gruppo di imprese per fare una modesta proposta di semplificazione, una ottantina di norme che suggeriamo vengano cambiate per snellire burocrazia, giustizia, fiscalità.

C’è da temere di più la burocrazia o la giustizia in Italia?
Tutte e due. Anzi tutte e tre: giustizia, burocrazia e livello della tassazione. Vanno ridotti gli sprechi e combattuta l’evasione, se vogliamo abbassare le aliquote.

I mandarini, i grand commis di Stato hanno la loro agenda e resistono a tutto.
Ci vuole una forte volontà politica, un mandato popolare. Sconfiggere la burocrazia non è mai stato un elemento centrale della piattaforma politica. Qualche volta lo si accenna nei discorsi, poi nell’attività di governo scompare dalle priorità. Ma se l’opinione pubblica non assume che è invece fondamentale cambiarla, non si farà mai.

Ancora nebbia sugli Stati generali. Era un’esigenza?
Non voglio avere pregiudizi, vediamo cosa ne salta fuori. A me non sarebbe venuta in mente, perché di confronto, idee, progetti a Conte ne sono stati fatti arrivare sin troppi.

Lei parteciperà a questo giro di interlocuzioni?
Non mi ha invitato nessuno.

Anche il ministro Gualtieri pare esserne rimasto all’oscuro.
Sorprende una cosa di questo genere. Che si facciano gli Stati generali dell’Economia senza il ministro dell’Economia è una delle cose singolarissime che solo qui possono avvenire. Potremmo anche fare gli Stati generali dell’istruzione senza interessare la ministra Azzolina, a questo punto.

Piano Colao. Lo ha letto? Che fine farà?
Il piano Colao è molto complicato, vediamo come si integra.

C’è una sorta di allergia generale per i tecnici.
Però allora non bisogna chiedere ai tecnici di fare proposte. È la politica che deve decidere, e dovrebbe poterlo fare contando sui già tanti tecnici che dirigono i ministeri. Se però chiedo aiuto ad altri, e metto su le task force, devo poi valorizzarne il lavoro. Chi dedica il proprio tempo al Paese deve per lo meno sapere che le sue proposte saranno esaminate con attenzione per la fase attuativa.

Quale potrebbe essere il suo contributo alla vita pubblica, nel futuro?
Io sto dando un contributo con l’Osservatorio sui conti pubblici. Vogliamo parlare a un pubblico vasto, mantenendo la qualità accademica. Punto a coinvolgere il maggior numero di giovani possibile.

Con quale scopo?
Fare in modo che l’opinione pubblica decida avendo cognizione di causa.

Della crisi economica vediamo poco più che le prime avvisaglie. Che autunno ci aspetta?
Il periodo è difficile, c’è una enorme incertezza. Uno choc pandemico che colpisce l’intero mondo ha pochi precedenti, ma potremmo essere sorpresi. D’altro canto non si è disposti ad avere le perdite umane che invece cento anni fa venivano accettate. Senza esperienza del passato è difficile prevedere il futuro.

Il suo nome è sempre papabile, lei è stato più volte sul punto di assumere responsabilità pubbliche.
Ho sempre detto che per un italiano cui venga chiesto un ruolo nel governo del Paese, sarebbe sempre e comunque un onore.

Conte guarda con simpatia a Draghi. Anche lei?
Tutti guardano con simpatia a Mario Draghi.

Potrebbe essere un buon Presidente della Repubblica.
Ma se lo diciamo oggi, rischiamo di bruciarlo. Non diciamolo.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.