«Anch’io credo che occorra andare oltre l’orizzonte indicato dal “socialismo”. Penso che ci sia bisogno di un pensiero nuovo, perché se socialismo significa la fuoriuscita o l’alternativa al capitalismo, abbiamo visto che è una utopia accompagnata da immani tragedie». A sostenerlo è uno dei più autorevoli storici italiani: Marcello Flores. Autore di apprezzate pubblicazioni, si è occupato principalmente della storia del comunismo, del XX secolo, del genocidio degli Armeni durante la Prima Guerra Mondiale, dei diritti umani e delle vittime di guerre. Il professor Flores ha insegnato Storia comparata e Storia dei diritti umani nell’Università di Siena, dove ha diretto anche il Master europeo in Human Rights and Genocide Studies. Tra le sue pubblicazioni più recenti, La forza del mito. La rivoluzione russa e il miraggio del socialismo (2017, Giangiacomo Feltrinelli Editore), Il secolo dei tradimenti. Da Mata Hari a Snowden, 1914-2014 (2017, Il Mulino), Storia della Resistenza (con Mimmo Franzinelli, 2019, Laterza).
Professor Flores, di fronte a una crisi pandemica che sta segnando il pianeta, c’è il rischio che possano avere una fascinazione modelli di un autoritarismo decisionista come quello cinese o russo? In parole povere, la democrazia ai tempi del Coronavirus rischia di cedere il passo al modello putiniano o a quello di Pechino?
Io non ne sono molto convinto. È certamente vero che quei modelli abbiano una maggiore facilità a esporre e ad affermare le proprie idee e i propri paradigmi, mentre ovviamente le democrazie in una situazione di difficoltà soprattutto nuova, faticano ancora a trovare gli strumenti necessari per mantenere la democrazia a livello delle attese che una emergenza come questa prevede, e cioè, ad esempio, l’equilibrio tra ordini e consigli, tra proibizioni e sanzioni, che sono in gran parte da inventare proprio per la novità della situazione. Se posso giustificare il mio ottimismo, lo vedo soprattutto nel fatto, per parlare dell’Italia, che quasi ovunque non la soluzione ma il riuscire a fare i conti con la pandemia, lo si deve alla forza e ai comportamenti dei cittadini e della società civile nel suo complesso: medici ed infermieri che si sono comportati molto meglio di quello che le autorità regionali preposte avevano stabilito, e sostanzialmente una popolazione che, pur mantenendo critiche anche aspre al Governo e alle istituzioni, tuttavia si muove in una direzione comunitaria e collettiva che manca del tutto, come vediamo, alle forze politiche.
Tra le tensioni che emergono con forza in situazioni di crisi come quella che stiamo vivendo, c’è quella tra sicurezza e libertà. Pechino e Mosca sembrano averla risolta…
Non è che risolvono la tensione, è che aboliscono uno dei corni del dilemma, in genere quello della libertà. Se posso aggiungere una riflessione da storico e da studioso dei diritti umani, noi viviamo da tempo il conflitto tra diritti: tra salute e lavoro, tra indipendenza nazionale e regole internazionali, tra libertà di espressione e rifiuto della propaganda di odio. Negli ultimi quindici anni, ma forse anche di più, quando queste tensioni sono emerse in varie occasioni, pensiamo per restare all’Italia, al caso Taranto o alle leggi contro il negazionismo, in genere la politica si è divisa su quali tra i due diritti in conflitto scegliere. E non nel trovare un equilibrio che salvaguardasse, al massimo possibile, entrambi.
In un articolo su Il Riformista, Biagio De Giovanni sostiene che la sinistra potrà avere un futuro solo se saprà inventare nuove vie all’uguaglianza, lontane dal socialismo.
Anch’io credo che ci sia bisogno di un pensiero nuovo, perché se socialismo significa la fuoriuscita o l’alternativa al capitalismo, abbiamo visto che è una utopia accompagnata da immani tragedie. Se, invece, per socialismo intendiamo i valori di libertà e uguaglianza che per oltre un secolo e mezzo movimenti socialisti e socialdemocratici hanno rivendicato, non possiamo dimenticare che anche quei movimenti e partiti, al di là di vittorie particolari, sono sempre stati sostanzialmente sconfitti. Bisogna dunque pensare a qualcosa d’altro senza ovviamente buttare via tutto quello che c’è stato in passato.
Trump, Putin, Xi Jinping, Bolsonaro, Orban, Erdogan… Professor Flores quello che viviamo è il tempo delle autocrazie più o meno mascherate e dei sovranismi ultranazionalisti?
Non credo, anche se alcuni di coloro che lei ha citato purtroppo dureranno a lungo. Pensiamo, però, per un attimo agli anni Settanta, quando c’erano Nixon, Breznev, Mao, Enver Hoxha, Honecker al posto della Merkel, e quindi evitiamo di fasciarci la testa come se fossimo in uno dei peggiori momenti della storia.
Tra le cose che dovremmo tenerci strette c’è anche l’Europa, pur con le sue mancanze, le sue oscillazioni e divisioni?
Ci conviene non solo tenercela ben stretta, ma tenendocela stretta cercare di migliorarla, sapendo che si tratta di una battaglia lunga e difficile ma inevitabile, perché le altre scorciatoie porterebbero necessariamente a regimi autoritari e sovranisti.
Niente sarà più come prima, si ripete come un mantra. Qual è il suo timore e quale la speranza in proposito?
Il timore è che alla fine non cambi nulla e la situazione di prima sia più aggravata per la crisi intervenuta. La speranza è che, a partire dall’Europa, ci si renda conto, non solo per questa pandemia ma più in generale, che siamo di fronte ad una svolta epocale che questa pandemia ha messo in evidenza in tutti i suoi aspetti più difficili e complessi e che non possono essere rinviati ancora troppo a lungo.
A proposito di crisi. Non siamo di fronte anche ad una crisi di leadership?
Sicuramente questa crisi c’è, però io credo che in giro ci possano essere, anche se in Italia sinceramente non li vedo, dei leader all’altezza della situazione. Naturalmente oggi il problema è che nelle democrazie la selezione di leader e leadership è condizionata da tanti fattori che spingono spesso alla scelta degli uomini peggiori.