25 anni fa nasceva il riformismo di Bill Clinton e Tony Blair, quel progressismo che aveva finalmente preso consapevolezza che la sinistra moderna deve essere in grado di parlare anche al centro e che per far questo deve essere in grado di recuperare alla destra alcune sue parole d’ordine, farle proprie e reinterpretarle. A Clinton, eletto Presidente nel 1993 e Blair, diventato capo del Labour nel 1994, seguirono altri leader mondiali, ad iniziare da Barack Obama. 25 anni dopo le sfide sono sotto aspetti simili ma forse ancora più urgenti: contrastare una destra populista e sovranista è sempre più una necessità impellente, così come evitare che la sinistra si polarizzi su posizioni sempre più estreme e sempre meno condivisibili.

Il Global Progress Action Summit, organizzato ogni anno da Canada 2020 e dal Center for American Progress, tra i think tank progressisti mondiali, è l’appuntamento annuale di quanti al mondo si pongono questo obiettivo: quest’anno, oltre a Justin Trudeau che faceva gli onori di casa, Tony Blair, Keir Starmer (il leader del Labour inglese, primo nei sondaggi, erede del riformismo blairiano) e molti altri leader mondiali. Ne abbiamo parlato con Sandro Gozi, europarlamentare eletto in Francia, segretario del Partito Democratico Europeo, unico italiano ad essere stato invitato: per la sinistra di Schlein evidentemente non c’è più posto, infatti, neppure in questi contesti.

Sandro, come è andata questa due giorni a Montreal?
«È stato senza dubbio uno dei migliori Summit tra riformatori e progressisti degli ultimi anni. Vi partecipo da molto tempo e direi che l’edizione 2023 è stata veramente di grande qualità sia per i tanti leader presenti da vari continenti che per le idee e le proposte discusse durante i due giorni di lavoro. Per noi, Democratici Europei dell’alleanza Renew Europe, è stata anche l’occasione di rafforzare ulteriormente i forti legami che abbiamo costruito in questi anni con le principali forze democratiche e progressiste nel mondo. Uno dei nostri grandi obiettivi politici».

Quali i temi oggetto di discussione?
«La ripresa del controllo sulle migrazioni, basata su fermezza e umanità, e rafforzata da una nuova cooperazione transnazionale. Mostrando anche le contraddizioni dei nazionalisti: fare ognuno per sé, chiudersi nella propria “nazione” sull’immigrazione, porta solo a più grossi problemi per tutti. L’intelligenza artificiale, che è una grandissima opportunità per l’umanità e sulla quale dobbiamo dimostrare lungimiranza e coraggio, anziché cercare di fermare la storia, il progresso e l’innovazione. E la transizione ecologica, scelta forte e necessaria, che richiede però molta più chiarezza su dove trovare le risorse: non possono essere i più poveri né la classe media a pagare il costo della transizione. I progressisti devono trovare nuove risorse, anche sull’esempio di quanto abbiamo deciso nell’UE con la tassa carbone alle frontiere esterne, per far pagare le imprese extraeuropee che inquinano più delle nostre. Tema che richiede appunto anche molto dialogo e cooperazione globale tra forze e governi democratici e riformatori che condividono gli stessi obiettivi».

Quali gli interventi che più ti hanno colpito?
«Mi è piaciuta molto la lucidità di Keir Starmer, determinato a voltare pagina a Londra e ad avviare una nuova fase nei rapporti tra Regno-Unito e Unione Europea. Credo personalmente che nel decennio che si aprirà dopo le prossime elezioni oltremanica, saremo molto impegnati a lavorare sul ritorno britannico nell’Unione europea, dopo la follia della Brexit. Ho poi molto apprezzato, come sempre, la chiarezza di Tony Blair su come rispondere alla sfida dei populisti, che sono unicamente interessati a sfruttare le paure e i problemi dei cittadini senza apportare alcuna soluzione. Fiducia nell’innovazione e pragmatismo ecologico sono certamente due risposte importanti. Infine voglio ricordare la nuova consapevolezza dei nostri amici americani sulla necessità di uscire dal far-west digitale. Qualche giorno prima del nostro vertice, le big tech erano state audite e per la prima volta insieme al Senato americano. E anche a Washington si comincia a capire che libertà di espressione e non è diritto alla viralità di qualsiasi contenuto, anche se terribilmente violento, offensivo o di pura disinformazione. E su questo terreno, noi democratici europei abbiamo già molto cose da dire e proporre al resto de mondo, a cominciare proprio dal Congresso di Washington, dove tornerò per questo a inizio novembre».

Una riunione dei riformatori e progressisti di tutto il mondo, con i riflettori accesi sull’Europa…
«Sì, la partecipazione a questo Summit ci aiuterà anche a preparare la battaglia per le europee del prossimo anno, in cui dovremo riaffermare la centralità politica di Renew, proseguire il superamento delle vecchie divisioni tra destra e sinistra e anche mettere in luce le contraddizioni e le ambiguità politiche sempre più grandi sia dell’estrema destra che della sinistra populista».

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva