Tra le vittime del Covid-19 ci sono anche i Parlamenti? E più in generale la Democrazia? Come hanno funzionato i Parlamenti in questa situazione? In Europa, il meccanismo democratico non sembra essersi inceppato. Sulla carta, il potere legislativo ha continuato a vigilare sulle scelte compiute dagli esecutivi. Resta da vedere quanto di quello che ci racconta questa carta sia reale e quanto sia solo apparenza perché, per esempio, i pericoli vanno oltre lo stravolgimento degli equilibri come accade in Ungheria e Polonia. Le due Camere del parlamento svizzero continuano a riunirsi in sessione plenaria, avendo però avuto cura di trovare una sala plenaria più spaziosa.
Il Bundestag tedesco continua a lavorare con un terzo dei membri a cui è consentito essere presente in aula contemporaneamente. Le mascherine non sono obbligatorie. Per essere presente in aula e nelle commissioni, i deputati devono chiedere l’autorizzazione. Quest’ultime si riuniscono online o fisicamente a seconda delle circostanze.
Il Parlamento austriaco e le commissioni si riuniscono fisicamente (e più spesso del solito) senza alcuna restrizione. Viene occupato più spazio rispetto a prima per garantire più di un metro di distanza tra i parlamentari che ora occupano le tribune e altre sale dove viene trasmessa la seduta. Nel momento del voto però si riuniscono tutti in aula e sulle tribune. La Svezia ha messo in atto diverse modifiche rispetto ai lavori d’aula che sono comunque proseguiti durante la pandemia. Il numero di deputati fisicamente autorizzati ad accedere in aula è sceso da 349 a 55.
Le commissioni sono convocate anche a distanza e i parlamentari che vivono nella regione di Stoccolma sono i più presenti. Tutti i parlamentari possono partecipare, da remoto, alle riunioni della plenaria e delle commissioni. Sono i gruppi parlamentari a decidere, di settimana in settimana, quali membri possono essere presenti fisicamente. In Lettonia, la Saeima continua a funzionare sistemando ogni gruppo politico in una sala separata e collegandolo in video. Sia la discussione che il voto avvengono dunque tramite videoconferenza. Il Parlamento croato ha lavorato regolarmente durante tutta la pandemia, limitando il numero di parlamentari presenti contemporaneamente in aula e mettendo le commissioni in condizione di lavorare online. Il Montenegro ha fatto uno stop di due settimane e alla ripresa, i parlamentari si sono suddivisi in tre aule. Il Parlamento albanese si riunisce tre volte alla settimana nell’emiciclo, nelle sale delle commissioni e nelle aree destinante a media e visitatori. Questo permette di mantenere una distanza di 2 metri.
Guanti e maschere sono obbligatori e le finestre devono stare aperte. Le riunioni di commissione si svolgono senza sospensione grazie a una piattaforma che permette di lavorare online. Nella regione caucasica, il Parlamento georgiano si è riunito fisicamente solo due volte dall’entrata in vigore dello stato di emergenza, decretato il 22 marzo. La prossima sessione si terrà il 23 maggio. Durante questo periodo si sono però tenute numerose riunioni di commissione. Il Parlamento armeno invece si è riunito più volte durante la quarantena, sia in plenaria che in commissione. L’ucraina Rada si incontra regolarmente in aula, ma i deputati hanno l’obbligo di indossare guanti e mascherine. Il Parlamento cipriota si riunisce contingentando le presenze, le commissioni lavorano da remoto. In Ungheria il Parlamento continua a riunirsi regolarmente. Il Parlamento di San Marino ha ripreso a lavorare il 21 aprile in un’aula più grande per mantenere la distanza richiesta.
Nel Regno Unito, la Camera dei Comuni è stata chiusa per un mese, dal 20 marzo al 21 aprile, includendo però le due settimane di pausa per la Pasqua. Alla ripresa, sia la plenaria che le commissioni si riuniscono con un numero molto limitato di deputati. La maggior parte di essi si connette da remoto. Il punto dunque è, né più né meno, cosa è il Parlamento e cosa è la Politica. Il Parlamento non è solo il luogo del voto, della contrapposizione, né tantomeno uno sfondo per monologhi. Se fosse questo l’obiettivo, allora vanno bene le piattaforme come Zoom. Il cuore invece è il dialogo, il confronto serrato e l’ascolto. E allora serve la fisicità, sia in aula che nei momenti informali. Si sa che le migliori idee nascono anche davanti alla macchina del caffè e questo può succedere, incredibilmente, anche in Parlamento. Quello che conta non è solo il quanto, ma anche e soprattutto come si riunisce un Parlamento.
«Mi preoccupa l’impatto di un Parlamento-Zoom sul dibattito e sul controllo parlamentare». Musica (drammatica) per le nostre orecchie. Ad emetterla è Jess Phillips, deputata laburista del collegio di Birmingham Yardley e Ministro ombra per la tutela dalla violenza domestica, che in un’intervista del 7 maggio all’Independent aggiunge: «Qualcuno penserà che io apprezzi le interrogazioni parlamentari da remoto con Zoom e il voto a distanza. Invece no. Le odio». Non è un caso che questa riflessione giunga dopo l’ennesimo question time in cui a far la maggior parte delle domande sono colleghi presenti solo negli schermi allestiti in aula. A differenza del question time di Montecitorio, quello alla Camera dei Comuni rappresenta un vero atto di controllo al quale, assumendo una forma di sostanzioso duello dialettico con l’opposizione, l’esecutivo si sottopone ogni mercoledì di fronte a milioni di spettatori che seguono alla tv e online. È chiaro come, in questa fase, il Parlamento digitale sia una necessità, ma è sacrosanta la sottolineatura della Phillips dei rischi legati a un livello di controllo ridotto che scaturisce da sedute che, così realizzate, «al governo convengono».
Capita che i deputati collegati da remoto dicano cose sbagliate oppure che ci siano dei fraintendimenti. «Normalmente mi alzerei e chiederei la parola per correggere o smentire una certa affermazione. Ora invece i Ministri possono parlare senza portare sostanza al dibattito perché non ci sono gli abituali interventi degli altri deputati, in aula o nelle loro stanze accuratamente sistemate. Diventa tutto incredibilmente piatto, superficiale e si perde il senso che da quegli schermi si discute la vita delle persone. Non avrei mai pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui mi sarebbero mancati gli scontri di sempre. Credo che, come spesso accade, ci rendiamo conto del valore di qualcosa solo quando non c’è più», dice la Phillips. La forma dunque incide sulla sostanza. Perciò la preoccupazione della Phillips è la nostra.
Anche nelle aule aperte gli spazi già ridotti di dialogo, di confronto e di conoscenza sono state le vere vittime di questi mesi. È la ragione per cui pensiamo che questa sia l’occasione per una riforma dei regolamenti parlamentari che metta al centro il confronto, l’ascolto e i diritti del singolo parlamentare, non la spettacolarizzazione dello scontro tra opposte fazioni.