Il cantiere per l’unità dei liberaldemocratici sta per partire. Appuntamento a Milano per sabato 23 e domenica 24 novembre, al Big Theatre, per l’evento Il coraggio di partire. La prima pietra fondativa per costruire un’alternativa contro il bipolarismo. Ma sarà davvero la volta buona per il centro? Sulla domanda si confrontano gli autorevoli ospiti de L’ora del Riformista, l’appuntamento settimanale – moderato da Aldo Torchiaro – che ospita il dibattito sui principali temi internazionali e di politica interna.

Il direttore Claudio Velardi guarda con ottimismo al tentativo di Orizzonti Liberali, ma pone l’attenzione sulla necessità di muoversi tra due fuochi: da una parte i tempi brevi della politica che impongono di stare sempre sul pezzo; dall’altra i tempi lunghi per costruire un soggetto grande e credibile. Anche perché la sfida è cruciale: «Costruire una formazione politica che stia tra i due poli, strutturarsi e poi – nelle condizioni date – scegliere dove e con chi allearsi. Ma se la scelta sulle alleanze si fa prima, vengono meno ogni possibile identità e un certo grado di credibilità».

Giorgia Bellucci, responsabile organizzazione di Orizzonti Liberali, è ottimista: «Finalmente ci vediamo, ci guardiamo in faccia e iniziamo il nostro percorso che sarà lungo. Ci sono tante piccole realtà che hanno dato il loro interesse. Dobbiamo creare un grande partito libdem, vero, forte, con un programma chiaro che aggreghi le persone che si riconoscono in un concetto di società liberale. Ci stiamo mettendo l’anima». Il bipolarismo è forte, ma solo nel 50% (o meno) di chi va a votare. Insomma, l’offerta politica non convince assolutamente: «Ci raccontiamo una campagna elettorale e vince chi la spara più grossa. Ma ora bisogna strutturare un partito che sia serio, pragmatico».

Per Alessandro Tommasi, fondatore di Nos, non bisogna cadere nel tranello della fretta. L’obiettivo è quello di usare i 3 anni che ci separano dalle prossime elezioni politiche per dare ambizione, sognare in grande e provare a cambiare il linguaggio della politica: «Dobbiamo prendere quel 50% che della politica ormai proprio non vuole saperne più nulla e che in generale ha perso fiducia nella possibilità che sia la politica a risolvere i propri problemi. Credo che questa sia un’opportunità». Anche perché, sottolinea il giovane imprenditore, «l’acqua intorno a noi non è mai stata più favorevole di quella attuale». Da qui l’invito a puntare sul buonsenso: «Occorrono idee che arrivano dalle competenze, che non urlano dando spazio agli ultras ma che raccontano il mondo per quello che è. Serve un grande sforzo».

Sulla stessa linea si trova Alessandro De Nicola, presidente di The Adam Smith Society ETS, secondo cui lo scenario di elezioni anticipate è remoto. Cosa fare fino al 2027? «Bisogna dare un’identità piuttosto riconoscibile, perché uno dei problemi dei vari partiti è che danno l’impressione di essere una versione light – a seconda dei punti di vista – di Forza Italia o del Pd. Altrimenti non è semplice distinguersi», è la rotta tracciata da De Nicola. Che lancia una provocazione: «Ci vuole un po’ più Milei, con tutti i limiti che ha, e un po’ meno… motoseghe mentali».

Oscar Giannino, senior fellow dell’Istituto Bruno Leoni e già leader di Fare per fermare il declino, si descrive come «un terzopolista scettico» ma al tempo stesso «animato dalla migliore delle intenzioni» per supportare il processo di unificazione dei liberaldemocratici. «Ci vorrà un leader che non sia da partito personale e patrimoniale, ma che sia costruito dal basso, nei territori», avverte. Senza dimenticare che la famiglia libdem del Parlamento europeo «è imbufalita nera perché l’Italia non è stata in condizione di dare un solo apporto numericamente, nemmeno un eletto, per fronteggiare la sfida portata dalla trasformazione politica tra le grandi famiglie».

Sergio Scalpelli, amico del Riformista che guida il club milanese del quotidiano, riconosce che l’iniziativa «parte in salita seppur con un certo entusiasmo». Non si può infatti dimenticare la gestione disastrosa del Terzo Polo, che ha gettato all’aria un buon 8% di consenso incassato nel 2022: «Quella cosa è stata picconata dopo poche settimane, ha naturalmente allontanato diverse centinaia di migliaia di elettori e ha mortificato la possibilità anche di far nascere un gruppo dirigente». E, in vista delle elezioni comunali di Milano, mette le cose in chiaro: «Alle europee la somma della lista Stati Uniti d’Europa e Azione ha fatto più del 13%. Se ci fosse quella sorta di radicalizzazione bipopulista che ogni tanto sembrerebbe poterci essere anche in una città come Milano, la situazione diventerà disastrosa. Vincerà chi saprà catturare quel 13-14%».

Marta Ottaviani, giornalista e analista di geopolitica, ritiene che sia il centrodestra sia il centrosinistra intendono la politica estera come mezzo per poter perseguire la propria politica interna: «Bisogna capire da che parte stare. Mi preoccupa molto: in un momento in cui noi avremmo bisogno di contare di più in Europa, assistiamo a battibecchi continui tra una parte e l’altra». Dunque serve una nuova formazione che abbia una politica realmente europea: «Non ci possiamo permettere la scissione dell’atomo. Serve una pluralità di voci, ma non una pluralità di leader. Altrimenti si rischia quella frammentazione che purtroppo abbiamo visto negli ultimi anni».