La battaglia è iniziata, ora sarà sufficiente osservare dalla finestra come si concluderà.
All’inizio di settembre la Commissione europea aveva nominato le società che, secondo le norme del DMA (il Digital Market Act) entrate in vigore, erano considerate come “gatekeeper”, ovvero sia “big tech” le cui piattaforme digitali sono dei “gateway”, delle porte di accesso per altre aziende al grande mare dei consumatori europei. Obiettivo del DMA è quello di evitare posizioni dominanti, con un meccanismo di anti-trust preventivo. Chiunque disponga di piattaforme digitali tali da coinvolgere molti utenti e capaci di generare un elevato fatturato può infatti utilizzarle in modo “neutro”, senza provare ad espandere la propria posizione dominante o a trarne eccessivo vantaggio economico, o agire come era spesso successo in un mercato come quello digitale sviluppatosi in totale deregulation, spremendo o limitando i concorrenti effettivi e potenziali, startup comprese: il DMA si propone in tal senso di intervenire su questi gatekeepers aumentando la possibilità di concorrenza per gli altri.

Le 6 big-tech che erano state nominate come gatekeeper dalla commissione erano Alphabet (cioè Google, per il motore di ricerca, Youtube, Android e molti altri servizi), Amazon, Apple (per App Store, iOS e Safari), ByteDance per TikTok, Meta (per Facebook, Instagram, Whatsapp e altro) e Microsoft per Linkedin e Windows. Per iMessage e altri servizi, invece, la Commissione aveva avviato indagini ulteriori: su iMessage, in particolare, era stata proprio Google insieme ad alcuni grandi operatori di telefonia mobile a chiedere che venisse inserito nella lista, con l’obiettivo di garantire l’interoperabilità con altri servizi, ad esempi quelli degli sms o della stessa Google.

Per avere un’idea della posta in gioco, basta leggere il comunicato stampa che Spotify pubblicò nei giorni successivi alla scelta della Commisione: “Apple dovrà ora porre fine alle sue pratiche palesemente anticoncorrenziali nell’UE e smettere di obbligare gli sviluppatori a pagare tariffe ingiuste e discriminatorie nell’App Store”. Ciò che per l’azienda svedese, una delle poche big-tech europee, potrebbe valere per le centinaia di migliaia di aziende piccole, medie ma anche grandi che nell’accesso al mercato digitale UE si sono trovate costrette a pagare oboli eccessivamente onerosi, il che inevitabilmente ha limitato la concorrenza ed aumentato i costi per i consumatori finali. Nel concreto, il DMA potrebbe portare ad avere stores di app alternativi a quelli di Google ed Apple, ad avere più app non più disinstallabili, ad avere la possibilità di scegliere tra opzioni diverse per i servizi, a non penalizzare app come Spotify rispetto ad app proprietarie come Apple Music e Google Music e così via. Pena multe salatissime.

Notizia dei giorni scorsi è che a Bruxelles sono state presentati i ricorsi di alcune di queste società. ByteDance ha sostenuto che TikTok non detenga alcuna posizione “consolidata”, mentre Meta ha contestato solo la scelta di includere nella lista dei “gatekeeper” i servizi Messenger e Marketplace: il primo in particolare, secondo la società di Cupertino, è una funzionalità di chat di Facebook e quindi non un servizio separato. “Nulla di nuovo”, commenta Giuseppe Vaciago, avvocato esperto di diritto digitale: “il denominatore comune di queste nuove normative, come fu per il GDPR, è che hanno tutte un approccio preventivo e ciò crea una fase di grande preoccupazione iniziale”.
Il DMA, che entrerà in vigore a marzo, si pone l’obiettivo di rompere la posizione dominante che una manciata di aziende – nessuna delle quali europee – ha sui mercati digitali nell’UE e renderli più aperti alla concorrenza. Le aziende avranno tempo fino a marzo per rispettare le nuove regole mentre la decisione sui ricorsi da parte del tribunale del Lussemburgo è attesa nel giro di qualche mese. È certo è che una regolamentazione del settore servisse, sarà però l’esito finale di questo percorso a dirci se è stata utile e non eccessiva, perché tra la deregulation totale e l’eccesso di regolamentazione la soluzione più corretta è come sempre la mezza via. “Siamo sicuri sia vincente un approccio”, chiede provocatoriamente sempre Vaciago, “di regolamentare fortemente i rapporti tra big player e l’Europa?”: “siamo uno dei mercati più grandi del mondo e dobbiamo tutelarci, ma siamo sicuri che tutto questo non ci escluderà?”.

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva