Non è la prima volta – e probabilmente non sarà l’ultima – che un’inchiesta firmata Nicola Gratteri, oggi procuratore di Napoli, si scioglie come neve al sole. Questa volta è toccato a Passepartout, uno dei tanti nomi altisonanti che l’ex capo della Procura di Catanzaro predilige per le sue operazioni, fallire di fronte alla giustizia giudicante. L’esito? Reati prescritti, accuse inconsistenti, processi che si chiudono nel nulla, mentre il costo umano, politico e istituzionale resta altissimo. Ma di tutto questo la grande stampa non parla. Forse perché è troppo impegnata a ospitare Gratteri nei salotti televisivi, dove si presenta come il grande riformatore della giustizia italiana.

L’inchiesta Passepartout nasce negli anni 2018-2019, durante il mandato di Mario Oliverio come presidente della Calabria. Un periodo in cui la Regione, per la prima volta, aveva invertito il trend negativo nella gestione dei fondi europei, risalendo la classifica nei settori economici e nei servizi pubblici. Ma per Gratteri questo non contava. La sua priorità era un’altra: individuare intrecci tra politica, corruzione e ‘Ndrangheta ovunque, anche dove le successive sentenze hanno dimostrato che non esistevano. Accuse pesanti quelle mosse a Oliverio e ad altri 12 imputati, tra cui Nicola Adamo, Luigi Incarnato e Fortunato Varone: corruzione, traffico di influenze, frodi, turbativa d’asta. Reati che, se provati, avrebbero giustificato l’enorme clamore mediatico dell’epoca. Ma non c’era nulla da provare. Dopo anni di indagini e processi, il Tribunale ha dichiarato il non doversi procedere. Le accuse si sono dimostrate inconsistenti, i reati prescritti. Ancora una volta, quello che doveva essere un castello accusatorio si è rivelato un castello di carte.

La gogna mediatica ha prodotto però conseguenze devastanti. La misura cautelare di obbligo di dimora inflitta a Oliverio – per un’altra inchiesta, stigmatizzata dalla Suprema Corte di Cassazione come “un chiaro pregiudizio accusatorio” – gli ha impedito di ricandidarsi alla guida della Regione. Il suo partito, il Pd, ha preferito abbandonarlo, lasciandolo al suo destino. Una scelta che ha spalancato le porte al centrodestra, modificando gli equilibri politici regionali e nazionali.

Quella di Passepartout non è una storia isolata. La domanda è inevitabile: chi paga per i danni causati dalle inchieste infondate? Chi risarcirà Oliverio per la delegittimazione subita, per la sua carriera politica interrotta, per il danno alla sua immagine? Chi risponderà per il danno arrecato alla Calabria, una Regione che ha visto le sue dinamiche politiche stravolte da inchieste poi rivelatesi inconsistenti? La verità è che nessuno paga.

In un paese democratico, un magistrato che si vede bocciare in modo così netto le sue inchieste dalla Cassazione sarebbe costretto a rispondere delle sue azioni. In Italia, invece, le sconfitte giudiziarie diventano titoli di merito. E così Gratteri continua a ricevere applausi, ospitate in tv, e persino riconoscimenti. Non meno grave è il silenzio della stampa nazionale. È ora di chiedere conto al procuratore non solo dei suoi successi, ma soprattutto dei suoi fallimenti. Perché la giustizia, quella vera, non può essere una passerella per ambizioni personali. E perché il prezzo di questa giustizia spettacolarizzata lo stanno pagando tutti i calabresi.

Pasquale Motta

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