Barriere alte. Il messaggio del presidente Usa Donald Trump è chiaro, e può rappresentare un game changer per l’economia globale d’ora in avanti. In un mondo più che mai globalizzato, disincentivare l’accesso alle imprese alla terza popolazione più alta al mondo è sicuramente destabilizzante. E le ultime riforme diramate sui dazi rischiano di rappresentare un importante dietrofront da questo punto di vista. La momentanea “pausa” di 90 giorni, ad eccezione della Cina, fa ben sperare ma analizziamo la possibilità che il tutto venga ripreso.

L’obiettivo è chiaro: invertire la bilancia commerciale, valorizzando sia il consumatore Usa – rendendolo più “raro” da ingaggiare – sia il produttore Usa, che avrà di fronte una domanda più alta per supportare gli importatori colpiti. Se da un punto di vista teorico un filo logico discutibile si può trovare, calandoci nel particolare delle singole categorie di mercato, per molte di queste l’esercizio di trovare un lato difendibile risulta arduo. È evidente che nel 2025 non si può più parlare di inaccessibilità dei prodotti, poiché il consumatore – conosciuta la globalizzazione – è ormai abituato a poter accedere a qualsivoglia prodotto da qualsivoglia regione del mondo. Il mercato alimentare, ad esempio, che presenta un ventaglio di prelibatezze che non sono replicabili lontani dal luogo di origine. Basti pensare alla varietà di alimenti Italiani (pasta, olio, vini, formaggi, frutta secca) esportati nel mondo e soprattutto negli Usa.

Caso di specie ancor più evidente è la nostra Campania, con tradizioni culinarie inimitabili e apprezzatissime all’estero, tra cui figura sicuramente la frutta secca di cui personalmente mi occupo gestendo l’export di Caporaso, attiva in più di 20 Paesi nel mondo, tra cui gli Usa. L’unicità e la qualità dei prodotti campani bilanceranno di certo la maggior esosità dell’esportazione, ma ci aspettiamo comunque una naturale flessione dettata da queste riforme. Ciò che però va considerato è anche e soprattutto l’effetto opposto, quello di risposta dei Paesi non Usa quali appunto l’Ue. Rispondere con la stessa moneta potrebbe ritorcersi contro alcuni settori, a maggior ragione quello della frutta secca dove, sia per mandorle che per pistacchi, l’utilizzo di prodotti Made in Usa è estremamente alto, benché la differenza di qualità risulti evidente.

Il risultato potrebbe essere un innalzarsi dei prezzi dell’intera categoria – ci aspettiamo che le qualità più alte vogliano mantenere un gap di prezzo con le fasce basse del mercato, innalzando la richiesta economica – con un risultato finale per il consumatore di aumento generale dei prezzi, erodendo quel tanto citato potere reale di acquisto già in forte discussione negli ultimi anni causa inflazione. L’augurio è quindi che la pausa di 90 giorni imposta porti a una mediazione di lungo termine, in cui sia l’importazione che l’esportazione Oltreoceano restino un punto di forza per compagnie dove l’export rappresenta una grossa fetta del volume d’affari.

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