La patrimoniale è rimasta l’ultima bandiera di sinistra. C’è anche chi dice, appena sottovoce: l’avevo detto che questo virus è di sinistra, infatti adesso dovranno per forza mettere la patrimoniale, finalmente. L’idea d’origine ma non originale, ma sempre la stessa è: per riequilibrare le diseguaglianze, basta togliere a chi ha di più per darlo a chi ha di meno e ora siamo a posto. Sarebbe la cura ideale se prima si stabilisse se quel “di più” proviene da profitti leciti o illeciti: diritti d’autore di Camilleri su cui ancora campa mezza Rai, o panetti di coca colombiana? Frutto o parassita?

I possedimenti dei latifondisti erano totalmente parassitari e i padroni calabresi vivevano in ville sfarzose a Napoli mentre i contadini morivano di fame. Anche in America adesso la prestigiosa rivista della sinistra The New Republic fa i bilanci e indovina che cosa scopre? Che si può rendere più ricco chi è già ricco, e contemporaneamente rendere più ricco chi era povero. Di qui la scioccante scoperta: hanno votato per Trump i colli rossi dell’agricoltura e quelli blu delle industrie con una parte dell’elettorato afroamericano che per la prima volta, prima del virus, ha goduto i benefici di una disoccupazione al 3,5, con i lavoratori che vedevano crescere i loro stipendi perché le aziende se li contendevano. Questo nell’inferno del capitalismo.

Da noi invece l’idea è che chi è ricco, è un porco, e chi è povero è buono e santo. E che dunque ciò che soddisfa il piacere dell’essere di sinistra non è il progresso nella ricchezza, ma la redistribuzione della ricchezza legittima e già tassata dalle tasche più piene a quelle più vuote. E sarebbe la patrimoniale: arma di terrore di massa cui i governi ricorrono in casi catastrofici mettendo mano non alle normali tasse che i cittadini pagano su ciò che producono, ma ai loro risparmi: case, azioni, qualsiasi cosa conservino in garage o in banca o sul prato. Ogni tanto riciccia.

Adesso l’hanno proposta Fratoianni e Orfini e per fortuna – come ricordavano nella trasmissione Un giorno da pecora – gli sono saltati addosso quasi tutti. Quasi, perché poi emergono a sorpresa curiose persone dolcissime, ricchissime, delicatissime come petali di rosa che dichiarano di sentirsi in connessione armonica col creato e la natura, secondo cui una patrimoniale ci vuole e s’ha da fare, e sapete perché? Perché l’ha proposta il governo. Chi può esprimere desideri così eterei e allo stesso tempo governativi? Un bravissimo imprenditore, come Brunello Cucinelli detto “il re del cachemire”.

Siamo andati a sentire on line il suo intervento nella trasmissione Un giorno da pecora e ci siamo imbattuti in un prodotto finora trascurato: l’adesione in letizia a un governo cui si concede la propria mano, mente cuore e fede. Se non ci credete, fatelo anche voi, andate, ascoltate e respirate profondamente: funzionerà come tecnica di rilassamento. Quel che colpisce non è l’opinione, magari in controtendenza (toh, un capitalista a favore della patrimoniale!) ma un certo tono serafico e spirituale ormai in pace col mondo nel momento supremo, un po’ tipo Galeazzo Ciano davanti al plotone d’esecuzione.

Quando gli chiedono a Cucinelli, se dopo aver lodato fratello cielo, sorella acqua e l’armonia delle ruote universali (Cucinelli è umbro ma l’accento è francescano) sia a favore o contro la patrimoniale, non risponde né sì, né no, ma come un disciplinato don Abbondio ripete che l’importante è che sia fatta la volontà del Signore, intendendo il governo: quale che sia, ma per essere più precisi, proprio questo governo cui lui si rimette con dolce arrendevolezza armonica, perché non sta a me decidere, vedano lor signori. Non stiamo deridendo l’imprenditore del cachemire, ma esprimiamo un nuovo stupore nel ritrovare un oggetto che credevamo scomparso, semmai ci fu: “il riequilibrio tra profitto e dono”.

Che cosa significa? Non ne abbiamo la più pallida idea, siamo sicuri, ma il benefico imprenditore assicura che tale riequilibrio è il più grande tema della vita. Il che magari sarà anche vero, ma ci sembra un pasticcetto senza molto capo né coda, ma così spudoratamente privo di malizia da meritare un perfido “grazie per la pace che lei emana” dalla poco angelica conduttrice Geppi Cucciari.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.