La svolta sull’immigrazione è vicinissima. Al termine del Consiglio Affari Interni si respira ottimismo dopo che la Germania ha sbloccato lo stallo, ma per porre ufficialmente la parola fine all’impasse bisognerà attendere ancora qualche ora. Intanto con l’ok di Berlino è venuta meno la minoranza di blocco che stava impedendo l’approvazione del testo: si tratta dell’ultima parte del patto Ue su migrazioni e asilo che da diverso tempo è incagliata. La mediazione spagnola sul testo ha avuto un grande sostegno. Nei prossimi giorni è atteso il via libera all’orientamento generale, che allo stato attuale può contare su una maggioranza molto ampia. Il che potrebbe spingere verso un accordo prima del vertice di Granada della prossima settimana. Finalmente potrebbe essere superato il regolamento di Dublino, applicando il meccanismo di solidarietà tra gli Stati membri che avrebbero «piena discrezionalità» in merito al tipo di solidarietà con cui contribuiscono. Il numero minimo annuo per i contributi finanziari sarebbe fissato a 20.000 euro per ogni mancata ricollocazione.

L’Italia, che vuole vederci chiaro fino in fondo, ha chiesto un periodo extra di riflessione prima di pronunciarsi: Roma intende valutare a 360 gradi l’ultimo compromesso proposto dalla presidenza spagnola per andare incontro alle istanze arrivate dalla Germania. Due le mine principali che al momento impediscono di percorrere la via che porta a blindare l’intesa: da una parte le tutele per i migranti, dall’altra l’esclusione dei salvataggi delle Organizzazioni non governative (Ong) dalle situazioni di strumentalizzazione della migrazione.
Ieri i ministri dell’Interno hanno messo in chiaro la loro posizione negoziale in vista delle discussioni con i co-legislatori. Alcuni dettagli sono ancora da definire e a stretto giro il tutto dovrebbe sbloccarsi. Fernando Grande-Marlaska, ministro dell’Interno spagnolo, non ha usato mezzi termini: «Gli eventi di Lampedusa confermano che il Patto sui migranti oggi più che mai è irrinunciabile e necessario. È una sfida che richiede sforzo, flessibilità e generosità da parte di tutti». Dal suo canto la tedesca Nancy Faeser ha sposato la linea favorevole al compromesso e ha definito «fantastico» il testo presentato, esprimendo il desiderio di un’azione equilibrata e comune: «Bisogna proteggere le frontiere esterne e preservare l’apertura delle frontiere interne».

Tutt’altro che positiva la posizione espressa dall’Ungheria che, per bocca del ministro delegato Bence Retvari, ritiene il regolamento un potenziale pericolo che rischia di spianare la strada a un maggiore aumento di migranti irregolari: «Funzionerebbe come una calamita». Tra l’altro Budapest avrebbe gradito una decisione presa all’unanimità piuttosto che a maggioranza qualificata. Secondo Bartosz Grodecki, sottosegretario all’Interno della Polonia, il regolamento di crisi «non risponde a tutte le sfide che abbiamo davanti a noi». Dunque si confermano le forti perplessità da parte di Varsavia.
In mattinata Ursula von der Leyen aveva esortato «fortemente» i ministri dell’Interno dei 27 Stati membri riuniti a Bruxelles a trovare un accordo, indicando un’adeguata attuazione del patto Ue sulle migrazioni e l’asilo come una priorità assoluta: «Dobbiamo finire il lavoro». Il presidente della Commissione europea aveva ribadito l’importanza di poter contare su regole comuni, affermando con nettezza un principio già pronunciato in occasione della sua visita a Lampedusa a metà settembre: «I cittadini si aspettano che sia l’Europa a decidere chi viene qui e in quali circostanze, e non i trafficanti di uomini».
Sullo sfondo non va dimenticato un importante appuntamento su cui inevitabilmente gli occhi saranno puntati: in Polonia il 15 ottobre si terranno le elezioni politiche che saranno affiancate da un referendum. La consultazione popolare verterà su quattro quesiti che di fatto ricalcano i principali punti del programma elettorale del Pis. In particolar modo spiccano due punti su cui gli elettori saranno interpellati: la rimozione della barriera costruita alla frontiera tra la Repubblica polacca e la Bielorussia; il via libera al meccanismo di «rilocazione forzata imposto dalla burocrazia europea».