Il 21 gennaio, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso un provvedimento cautelare in favore di un paziente psichiatrico da tempo in lista di attesa per il collocamento in una Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (Rems) e attualmente detenuto nel carcere di Regina Coeli. I giudici di Strasburgo hanno ordinato al Governo italiano di provvedere all’immediato trasferimento del ricorrente presso una struttura idonea ad assicurargli un trattamento adeguato alle sue condizioni di salute.
Non è la prima volta che la Corte europea interviene sul problema delle carenze strutturali di posti nelle Rems. Un provvedimento del genere era stato adottato nell’aprile dello scorso anno a tutela di un giovane affetto da gravi disturbi della personalità, che era detenuto da oltre un anno e mezzo presso un altro carcere romano per indisponibilità di posti nelle Rems, sebbene il giudice penale ne avesse ordinato la scarcerazione, applicando a suo carico la misura di sicurezza.
Entrambi i casi sono ancora all’esame della Corte di Strasburgo, che dovrà ora pronunciarsi sul merito delle violazioni lamentate dai ricorrenti, attinenti al divieto di trattamenti e pene inumani e degradanti e al diritto alla libertà personale. Violazioni che, oltre a essere di particolare gravità, rivelano l’esistenza di un problema strutturale dell’ordinamento italiano, cui nonostante tante belle parole le istituzioni non sono ancora riuscite a porre rimedio. Non si tratta, infatti, di casi isolati. Sono molti i pazienti psichiatrici non imputabili detenuti in carcere in attesa di andare nelle Rems, attesa che potrebbe richiedere mesi o addirittura anni. Con la conseguenza di tenere dietro le sbarre senza limiti di tempo soggetti che, invece, dovrebbero essere curati in strutture adeguate.
Stando ai dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP), nell’aprile del 2019 i soggetti internati nelle Rems erano 629, mentre quelli in lista d’attesa ammontavano a 642, di cui 63 risultavano detenuti illegittimamente in carcere. Nel febbraio 2020, secondo il Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, i soggetti internati nelle Rems erano scesi a 600, quelli in lista d’attesa saliti a 714, quelli detenuti in carcere sempre 63. Nello spazio di un anno la situazione è rimasta pressoché invariata, se non peggiorata. Le lunghe liste d’attesa sono destinate a rimanere tali in mancanza di interventi strutturali volti a incrementare i posti delle Rems. Rendendo così vano il diritto dei pazienti psichiatrici a ricevere cure adeguate alla loro condizione psicopatologica. Nella sua relazione annuale relativa all’anno 2020, lo stesso DAP riconosce candidamente che i soggetti detenuti in carcere in attesa del trasferimento in una Rems sono di fatto ospitati illegittimamente.
Nonostante le denunce, le segnalazioni e gli interventi delle giurisdizioni sovranazionali, le istituzioni italiane non hanno ancora assunto alcuna iniziativa concreta volta a risolvere il problema. Sembra, al contrario, che l’unica preoccupazione delle autorità coinvolte sia quella di giustificare la propria condotta, scaricando sulle altre la responsabilità di quanto sta avvenendo. Quando è evidente che non spetta certo al singolo direttore di un carcere né al giudice di sorveglianza il compito di adeguare le strutture delle Rems in modo che esse possano accogliere tutte le persone bisognose di cure. Così come è altresì evidente che creare poco più di 600 posti nelle Rems non è certo un’impresa titanica per uno Stato come l’Italia. A pagarne le conseguenze sono i soggetti deboli, affetti da gravi patologie psichiatriche e spesso esposti a un serio rischio suicidario. E le vittime già si contano, a partire dal noto caso di Valerio Guerrieri, giovane paziente psichiatrico illegittimamente detenuto in carcere a causa della mancanza di posti nelle Rems il quale, nell’attesa di essere trasferito, si è tolto la vita.
Su questa storia incredibile si sono ora accesi i riflettori di Strasburgo. I ricorrenti sono difesi dinanzi alla Corte europea dagli avvocati Andrea Saccucci, Giulia Borgna e Valentina Cafaro dello studio Saccucci & Partners, leader nel contenzioso dei diritti umani, i quali già annunciano di voler chiedere l’adozione di una sentenza “pilota” per la risoluzione del problema sistemico, oltre che ovviamente un cospicuo risarcimento per le vittime. «La celerità eccezionale con la quale la Corte di Strasburgo ha ritenuto di dare seguito alle nostre istanze – ha dichiarato l’avv. Valentina Cafaro – conferma la rilevanza delle questioni sollevate e la particolare sensibilità del giudice europeo per il problema del trattamento sanitario dei soggetti affetti da psicopatologie. Confidiamo, pertanto, che attraverso la nostra azione lo Stato italiano ponga fine alla detenzione illegittima di pazienti psichiatrici e si impegni in modo concreto per migliorarne le condizioni di vita”.