Politica
PD, gli elettori scendono mentre Schlein fa i conti col blocco politico-ideologico. La tentazione della ricetta Franceschini
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Sullo stato di salute del PD, la diagnosi più completa e sincera l’ha sintetizzata Petruccioli durante il convegno di Libertà Eguale a Orvieto. Ha, infatti, ricordato che, alle ultime elezioni europee, i votanti del PD sono diminuiti di 450 mila unità (su sei milioni circa) rispetto a cinque anni prima. Ha, inoltre, denunciato che, in quel partito, è rispettata una sola condizione di democraticità che deve avere un’organizzazione: la contendibilità della leadership. “Scelta la leadership – queste le parole usate da Petruccioli – la democrazia è di fatto archiviata fino alla scelta successiva”. Questi limiti emergono chiaramente dal dibattito interno di queste settimane che, non a caso, si svolge in luoghi diversi dagli organismi dirigenti.
L’asse portante riformista
Quali sono i termini di questo dibattito? Morando dice che un centrosinistra di governo ha bisogno di un pilastro riformista e che l’unico partito con le potenzialità di svolgere tale ruolo è il PD. Ma siccome quest’ultimo non sarebbe al momento in grado di assumere pienamente detta funzione, i riformisti, ovunque essi si collochino, dovrebbero volontaristicamente svolgere un lavoro comune sulla piattaforma politico-programmatica di governo del centrosinistra. E così il PD potrebbe essere indotto ad attivarsi per costituire l’asse portante riformista della coalizione.
La proposta di Franceschini
Non si sono fatti attendere troppo i portavoce delle correnti interne che sostengono la segretaria del PD per smontare l’ipotesi di lavoro lanciata ad Orvieto. Franceschini ha, infatti, proposto che il centrosinistra si presenti alle elezioni diviso per colpire unito. Basterebbe, secondo l’ex ministro, un cartello elettorale nei collegi uninominali, insomma un semplice patto che assegni al partito che arriva prima l’indicazione del presidente del consiglio. Poi si vedrà come trovare la quadra. Bettini si è subito accodato avanzando un solo emendamento alla ricetta Franceschini: elaborare un “manifesto di valori” come segno tangibile dell’alleanza elettorale. È, dunque, del tutto evidente la situazione paradossale che si è creata tra i democratici. I riformisti vorrebbero che i futuri alleati riconoscano al PD il ruolo di guida della coalizione. E siccome non mettono in discussione l’attuale leader, di fatto candidano Schlein a premier in caso di vittoria del centrosinistra. Alcune aree della maggioranza di quel partito, invece, pur sostenendo la segretaria, vorrebbero andare alle elezioni in ordine sparso, senza dare un’indicazione sul futuro premier.
È probabile che la spunteranno i capicorrente. A loro non interessa vincere le elezioni ma garantirsi la loro quota di candidati nelle liste che saranno redatte dalla segretaria. Così avremo, da una parte, la coalizione di governo uscente che chiederà agli elettori di confermare Meloni come premier. E, dall’altra, il centrosinistra acefalo che vedrà i finti alleati, tutti contro tutti armati.
La novità ignorata
Se questo fosse lo scenario politico contradditorio e surreale che si prospetta, si potrebbero aprire ampi spazi per una nuova forza politica, autonoma dai due schieramenti tradizionali. Soprattutto se questo nuovo soggetto puntasse a conquistare i cosiddetti “distanti dalla politica”, gli sfiduciati che non votano più. Un progetto ambizioso che gli attuali partiti di maggioranza e di opposizione hanno da tempo accantonato. C’è una novità che molti osservatori volutamente ignorano in questi giorni: Orizzonti Liberali, LibDem Europei, NOS, Liberal Forum, Patto Ecologista Riformista e altre associazioni meno note hanno convocato per l’8 marzo la costituente liberaldemocratica per arrivare, prima dell’estate, alla fondazione di un nuovo partito. L’assise sarà l’occasione per presentare la bozza di statuto, le proposte programmatiche e il logo. Vuol essere una possibile offerta ad una domanda di partecipazione politica in un involucro organizzativo di cultura liberal-riformista, che tuttora manca.
Il tempo post liberale
Come osserva Giovanni Cominelli, la parola “democratico” che oggi è utilizzata dal partito di Schlein “si è venuta via via riempiendo degli umori mutevoli delle mode del tempo che passa: giustizialismo, girotondismo, grillismo, wokismo, correttismo, identitarismo…”. “Nel 2008 – è sempre Cominelli che parla – Elly Schlein è andata alla corte di Obama per apprendere il peggio del Partito democratico americano. È riuscita ad importarlo. E così oggi capita alla sinistra di avere a che fare con un tempo pericolosamente post-liberale, senza essere mai stata né socialista né liberale”. C’è, dunque, un blocco politico-ideologico, fatto di luoghi comuni, che si è cementato nel PD e che nessuno è in grado di scalfire. I tentativi fatti da Renzi e Calenda sono falliti perché hanno prodotto partiti personali. Ma non è questa la domanda che emerge nella società. Ci vuole un partito liberale e popolare che corrisponda con precisione a quanto previsto dall’articolo 49 della Costituzione. Un progetto molto impegnativo che si può realizzare solo con tanto coraggio e sufficiente pazienza.
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