Il confronto
Pd non è giustizialista, avvisare le procure antimafia è buon senso
Le recenti polemiche sulle scarcerazioni di diversi, forse troppi, uomini legati alla mafia e detenuti in alta sicurezza o per il 41 bis, richiedono alcune precisazioni. Innanzitutto credo sia senza fondamento l’idea di riconoscere in questo passaggio, nella preoccupazione per l’uscita dei boss e nelle norme contenute nel recente decreto, una svolta giustizialista del Pd. In questi mesi abbiamo lavorato e lavoriamo in coerenza col passato. Sia sull’emergenza carceri come sulla riforma del processo penale per noi resta centrale il tema dell’allargamento degli spazi per l’utilizzo delle pene alternative al carcere, per introdurre misure fondate sul risarcimento a fronte dei reati meno gravi, per non far entrare nel circuito penale gli autori di reati bagatellari. Ricordo che è stato il Pd ad impedire che la direzione delle carceri cambiasse natura dando, come si voleva fare col riordino delle carriere, ai comandanti degli agenti le stesse funzioni attribuite ai direttori. Avevamo e abbiamo questa idea della pena, siamo ancorati ai principi costituzionali e consideriamo prioritario l’obbiettivo di garantire a chi viene condannato la possibilità di trovare percorsi non solo punitivi ma utili per avere a fine pena possibilità di reinserimento e per trovare opportunità di vita che rompano col passato.
In secondo luogo non è vero che ci sia da parte nostra alcuna volontà di ridimensionare il ruolo della magistratura di sorveglianza. Abbiamo difeso e continueremo a difendere le prerogative e l’autonomia di chi deve decidere sui benefici e valutare i percorsi e le condizioni di salute dei detenuti. Anzi abbiamo riconosciuto l’importanza delle decisioni assunte, in questi difficili mesi in cui il Covid19 ha reso esplosiva la questione della sovrapopolazione delle carceri, che hanno consentito di ridurre la popolazione carceraria da 61 a 53 mila unità. È grazie alle normative vecchie e nuove, ma soprattutto al lavoro dei magistrati di sorveglianza, se ciò è avvenuto e di questo l’intero Paese deve essere loro grato.
Per noi esprimere preoccupazione, che dovrebbe essere di tutti, per il numero significativo di boss mafiosi tornati a casa non significa, e lo abbiamo detto a chiare lettere anche in Antimafia, accusare la magistratura ma piuttosto guardare agli errori e alle sottovalutazioni del DAP nella gestione delle richieste di benefici da parte di detenuti dell’alta sicurezza o per il 41 bis, che, in corrispondenza della pandemia, si sono moltiplicate. Su questo e non certo sul lavoro della magistratura la stessa commissione Antimafia ha deciso di indagare.
Detto questo resta il punto di come rispondiamo al clamore che hanno suscitato, in particolare, alcune scarcerazioni. Questo non deve e non può rischiare di tradursi nell’idea di uno Stato che ha abbassato la guardia nella lotta alla mafia. È un problema che riguarda tutti coloro che hanno a cuore la battaglia contro la criminalità organizzata. Affrontare questa questione riproducendo la narrazione di una contrapposizione tra giustizialisti e garantisti è sbagliato. Non è questo il tema. Il tema è come mettiamo i capi mafia nelle condizioni di non nuocere più alla società pur rispettando il loro inalienabile diritto alla salute.
Per comprendere meglio e evitare di considerare la norma contenuta nell’ultimo decreto come una violazione dell’autonomia della magistratura di sorveglianza, o peggio un atto ostile o, addirittura, eversivo perché interverrebbe con decreto su una modifica delle competenze, vorrei stare al merito. C’è una norma dell’ordinamento carcerario (l’articolo 4bis al comma 3 bis) che dice che permessi premio e misure alternative al carcere non possono essere concessi se il procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunicano che permangono collegamenti con la criminalità organizzata. Con la norma contenuta nel decreto si chiede semplicemente ai magistrati di sorveglianza, prima di prendere decisioni, di informare questi soggetti in modo che essi possano verificare se permangono collegamenti dei detenuti con le mafie che renderebbero pericolosa la scarcerazione. Mi pare una norma di buon senso. Trarre da questa misura l’idea che governo e Pd sono appiattiti su posizioni giustizialiste mi pare, onestamente, difficile.
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Senatore Mirabelli, vorrei farle solo una domanda. Secondo lei fare uscire dal carcere un signore di 80 anni, gravemente malato di tumore, che ha già scontato quasi per intero la sua condanna a 18 anni (gli mancano 8 mesi) che non ha mai ucciso nessuno né mai ha ordinato un omicidio (condannato per estorsione) equivale a mettere in libertà il gotha dei boss mafiosi? Sa perché glielo chiedo? Io penso che il giustizialismo sia questo: lanciare allarmi infondati e chiedere misure d’eccezione per fronteggiarli. A spese dei diritti di tutti. Lei non crede che il suo partito, in questi giorni, sia corso appresso ai giustizialisti?
Piero Sansonetti
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