Breve storia dell'ex Premier spagnolo
Pedro Sanchez, dal “miracolo” del 2019, alle dimissioni del 2023. Una carriera fatta di alti e bassi
«Abbiamo mostrato all’Europa e al mondo che si può fare, la Spagna ha fatto vedere a tutti, in questo voto, che le idee e le proposte dei progressisti possono battere il totalitarismo, il razzismo e la destra. Il Partito socialista ha vinto le elezioni e con noi hanno vinto la democrazia e l’Europa, ha vinto il futuro. Mentre il passato e la restaurazione sono stati sconfitti»: 4 anni fa, aprile 2019. Il PSOE di Pedro Sanchez ottiene il 28% dei voti, 123 deputati e 123 senatori, diventando il primo partito spagnolo e assicurandosi la maggioranza assoluta nel Senato di Spagna e diventando il primo gruppo parlamentare del Congresso dei Deputati.
Sanchez viene incaricato dal Re Felipe VI di formare un nuovo governo. La Spagna, in quel momento, proviene da un tour de force elettorale, fatto di 3 elezioni generali in meno di 4 anni, e si avvia verso il “superdomingo” elettorale del mese successivo, la combo fra elezioni europee ed elezioni locali – le stesse svoltesi ieri, domenica 28 maggio 2023. In quell’aprile, la stampa spagnola parla del “miracolo” di Pedro: la vittoria elettorale, la sinistra al governo, faro per le sinistre europee. Sanchez, certo, parte da un innegabile vantaggio: dinanzi ha un centro-destra spaccato – i Popolari del giovane Pablo Casado, il delfino di José Maria Aznar; Ciudadanos che ha virato verso destra, mancando l’obiettivo del governo; Vox, l’ultradestra, che prende il 10% dei consensi ed entra in Parlamento per la prima volta, dalla fine del franchismo.
Pedro Sanchez – che in quel momento ha 47 anni – prova a formare un governo, cercando l’accordo con il leader di Podemos Pablo Iglesias Turrión. Va tutto a monte: salta l’accordo, salta il governo, altro giro, altra corsa, la Spagna affronta nuove elezioni nel novembre 2019. Sanchez e Iglesias, stavolta, trovano l’accordo, creando il primo governo di coalizione della democrazia spagnola.
Sanchez giura a gennaio 2020: non lo sa, ma l’Europa sta per affrontare la catastrofe della pandemia. La Spagna diverrà il quarto paese in Europa per numero di casi, il 12esimo al mondo, con un totale di oltre 13milioni di contagi.
Il Governo Sanchez II vede una giostra di cambi ai vertici dei Ministeri non da poco: a luglio 2021 le sostituzioni dei ministri in carica sono ben sette, in un colpo solo. Su diritti e diseguaglianze diviene uno dei governi più progressisti d’Europa. La logica dei numeri gli ha imposto un’alleanza con una sinistra molto ideologica, un accordo dal quale nascono misure – in tema di diritti – che si riveleranno molto discusse
Inoltre, misure come la possibilità di un contributo di solidarietà – da richiedere ai cittadini più abbienti tra 2023 e 2024 – gli alienano il consenso di una fetta di elettorato. Negli ultimi tempi, Sanchez tenta di virare verso il centro: ma probabilmente il cambio di rotta arriva troppo tardi.
Quattro anni dopo l’aprile dei miracoli, la situazione si ribalta. Le elezioni locali in Spagna vedono la vittoria del centrodestra: Popolari e Vox ottengono roccaforti importanti, da Madrid a Siviglia. A Sanchez non resta che sventolare bandiera bianca: arrivano le dimissioni e una nuova tornata elettorale. “Ho appena avuto una riunione con sua maestà il Re, nel corso della quale ho comunicato al capo dello Stato la decisione di convocare un Consiglio dei ministri oggi pomeriggio per sciogliere le Corti e convocare elezioni generali”, ha spiegato, annunciando la data per le prossime elezioni: 23 luglio. Una data che si preannuncia infuocata, mentre dal fronte popolare sale l’astro di Isabel Natividad Díaz Ayuso, trionfatrice a Madrid, e – soprattutto – mentre il paese si avvia verso un impegno non da poco: la Presidenza del Consiglio Ue nella seconda metà del 2023.
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