Per la prima volta sì anche da due Paesi mediorientali: Libano e Giordania
Pena di morte, all’Onu cresce il fronte del no
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha chiesto a gran voce la moratoria delle esecuzioni capitali. Lo ha fatto mercoledì sera quando 123 Stati, sui 193 membri dell’ONU, hanno votato la Risoluzione che chiede siano sospese impiccagioni, fucilazioni e decapitazioni in modo da andare verso l’abolizione definitiva della pena di morte. I rimanenti Stati sono andati in ordine sparso: 38 contrari, 24 astenuti e 8 assenti. Positivo che, per la prima volta, due Paesi mediorientali, la monarchia di re Abd Allāh II di Giordania e il Libano, abbiano votato a favore. Lo hanno fatto insieme a Gibuti e Corea del Sud.
E poi, come un magnete, la Risoluzione ha richiamato a sé il voto favorevole di 4 Stati – le Filippine del “cattivo” Rodrigo Duterte, il Congo, la Guinea e Nauru – che la volta precedente avevano votato contro. Va apprezzato anche chi ha voluto andare incontro alla Risoluzione passando da un voto contrario all’astensione, come lo Yemen e lo Zimbabwe del Presidente Mnangagwa con cui tanto abbiamo dialogato. Certo, alcuni Stati, 6, sono passati a un voto contrario nonostante si fossero precedentemente astenuti o avessero votato a favore. Ma sono certa che si recupereranno. Perché l’abolizione della pena di morte è un processo inesorabile e ogni volta che la Risoluzione va al voto guadagna consensi. Questa volta, l’ottava, ne ha guadagnati due rispetto al 2018 quando 121 Paesi votarono a favore. Ne ha guadagnati una ventina rispetto al 2007 quando per la prima volta il testo fu approvato con 104 sì.
Questa Risoluzione è una pietra miliare dell’abolizione della pena di morte e un fiore all’occhiello dell’Italia che nel mondo è riconosciuta per questa battaglia grazie alla quale brilla ancora un riflesso di patria e culla del diritto. Una battaglia nella quale anche il Ministro Di Maio si è riconosciuto e si è impegnato, con la Vice Ministra Marina Sereni, per assicurarne il successo. La concepirono poche persone, Marco Pannella, Sergio D’Elia, Maria Teresa di Lascia, quando nel 1993 fondarono Nessuno tocchi Caino. Scelsero Caino, il colpevole per eccellenza per far dire al mondo: basta pena di morte! Fecero avverare la profezia biblica che vuole Caino trasformarsi in costruttore, in questo caso costruttore di un nuovo diritto umano, quello a non essere uccisi per mano dello Stato.
Convinsero così nel 2007 il Governo italiano a dar seguito alle richieste unanimi del Parlamento italiano ed europeo a presentare la Risoluzione con un’azione nonviolenta che comportò per Pannella uno sciopero della sete di quasi otto giorni a cui poi aggiunse, insieme a D’Elia, uno sciopero della fame di tre mesi. Si trattò di aiutare a far superare più che la resistenza dei Paesi mantenitori, quella del conformismo sostenuto da prestigiose ONG per cui l’abolizione sarebbe stata meglio della moratoria e che comunque il mondo non era pronto a votare neppure la moratoria.
Oggi la Risoluzione arriva in un mondo in cui assistiamo, da un lato, a decisioni colme di grazia come quella del Presidente della Tanzania John Magufuli che nel giorno dell’Indipendenza, il 9 dicembre, ha commutato tutte le 256 condanne a morte. Dall’altro, all’impiccagione in Iran di liberi pensatori come di recente quella di Ruhollah Zam. Si tratta dunque di usarla questa risoluzione, di usarne la forza politica, la forza morale e chiedere sempre a quei Paesi che ancora mandano sul patibolo uomini e donne di fare la grazia di non farlo più. Perché la pena di morte è un ferro vecchio della storia, un anacronismo intollerabile di cui l’umanità si deve liberare. Perché Caino più che farlo penzolare al cappio è meglio per tutti che diventi costruttore di città.
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