L’astensione dopo il caso della sentenza “preconfezionata”
Penalisti in sciopero: “In campo per difendere processo e democrazia”
«Ho sentito dire, in questi giorni, che mettendo sotto scacco il processo penale si finisce per mettere sotto scacco la figura del giudice. Io dico che, se mettiamo sotto scacco il processo, finisce sotto scacco la democrazia costituzionale». Parola di Vincenzo Maiello, penalista e docente universitario, tra gli ospiti del convegno sul processo d’appello organizzato dall’Unione Camere Penali Italiane (Ucpi) a Torre Annunziata.
Il confronto si è svolto in concomitanza con la giornata di astensione proclamata dalle Camere penali del distretto – eccezion fatta per quella di Napoli – per protestare contro l’episodio verificatosi qualche settimana fa in Corte d’Appello, dove un avvocato, prima di un’udienza, ha trovato una bozza di sentenza in un fascicolo. Maiello ha posto l’accento anche su un’altra questione. «Non conosciamo il numero dei reati nel nostro ordinamento – ha spiegato il professore – Se il processo vive difficoltà gestionali, è conseguenza anche dell’“imbottimento” del nostro sistema. Perciò serve una riforma organica della giustizia a vocazione costituente». E se da un lato c’è chi evoca il buon senso per contrastare una perdita di razionalità dilagante, c’è anche chi ne fa una questione di numeri.
«L’episodio verificatosi in Corte d’appello è spiacevole – ha sottolineato Ernesto Aghina, presidente del Tribunale di Torre Annunziata – ma la verità è che il processo d’appello è un malato terminale, come confermano le statistiche». In Italia circa il 40% delle sentenze di primo grado viene impugnato: è il dato più alto in Europa. Il carico di lavoro che grava sul giudice di secondo grado è enorme, dunque, tanto che «nessun magistrato vuole andare in Corte d’appello – ha aggiunto Aghina – e, nel distretto napoletano, i vertici della Corte di Appello sono costretti a trasferire forzosamente i giudici del primo grado al grado d’appello». La durata media del processo d’appello, in Italia, è di 851 giorni a fronte dei 155 che caratterizzano il secondo grado nel resto dell’Europa. A questa lungaggine si aggiungono anche 260mila fascicoli arretrati sparsi in tutto il Paese.
Numeri pesanti, quindi, come ha sottolineato il procuratore di Torre Annunziata Nunzio Fragliasso: «Il carico di lavoro è talmente elevato – ha ammesso – che c’è il rischio di percorrere delle scorciatoie». Di diverso parere, invece, l’avvocato e tesoriere dell’Ucpi Giuseppe Guida secondo il quale non si può ridurre il problema dell’appello a un mero discorso di numeri e statistiche: «In questo modo si rischia di burocratizzare una fase del processo che invece è finalizzata alla revisione di una sentenza che può rivelarsi sbagliata. I diritti devono rimanere la stella polare di tutti».
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