Il mondo guarda il Medio Oriente col fiato sospeso. Israele deve reagire ed estirpare l’organizzazione terroristica di Hamas da questa terra (ce lo chiede oggi persino il meraviglioso Ben Mbarek, musulmano portatore di una storia e uno spirito meraviglioso, a pagina 15), ma nel farlo deve usare misura; e non offrire pretesti a quella parte di mondo che, in mala fede e per sabotare una pacificazione che gli accordi di Abramo avevano molto avvicinato, lo accuserebbe di rappresaglia anziché di legittima difesa.

Per questo, Joe Biden va in Israele. Dove tutti si sentono alla vigilia di una guerra (è pieno di coppie che improvvisamente si sposano: gli uomini prevedono di partire per il fronte e allestiscono il ‘dopo di loro’, nel caso non tornino). L’America però è alla vigilia di una campagna elettorale sanguinosa: decidesse un domani di non farsi carico integralmente della nostra difesa, saremmo aggredibili. L’Europa capisca che la priorità è riarmarsi e avere un esercito comune, non chiacchierare. Più munizioni, meno dichiarazioni.

In Occidente proseguono le manifestazioni a favore dei palestinesi, ma non contro Hamas. Forse snobbiamo i nostri valori, figli di tolleranza e libertà. Al fanatismo di quattro zecche in Italia siamo tristemente abituati, ahimè. Ma se persino ad Harvard, culla eccellente di diversi presidenti degli Stati Uniti, qualcuno porge un nesso tra gli attentati delle bestie di Hamas e una certa responsabilità israeliana nel generarli, abbiamo un problema. Perché, se in quelle piazze ci si dice a favore della creazione dello Stato palestinese, non ce la si prende con chi quella causa la sabota, cioè i terroristi di Hamas e compagnia bella (anzi, orrenda), le cui seconde vittime, dopo gli ebrei, sono proprio i palestinesi per bene? È vomitevole.

In Italia ci domandiamo se saremo al sicuro da attentati che riguardano fino a oggi le nazioni del nord Europa, che sulla carta hanno integrato maggiormente gli immigrati e scoprono l’ovvio: l’integrazione la devono volere anche quelli che arrivano, non solo noi che ospitiamo.

Sul fronte italiano, la manovra pensa ancora una volta solo ai redditi più bassi. Prima o poi si potrà pensare anche a chi si azzarda a guadagnare più di 35 mila euro l’anno? È ceto medio, e di redistribuzione già ne paga troppa (basta vedere quanta parte di gettito Irpef deriva da loro, a beneficio di chi guadagna poco di meno), non parliamo di gente ricca sfondata. Per loro, sostanzialmente c’è nulla. Bene tagliare il cuneo fiscale e mettere un primo chip sul Ponte sullo Stretto: nuovi posti di lavoro, valorizzazioni delle proprietà immobiliari nei dintorni e nuova area commerciale sono obiettivi utili. Ma insomma, basta mettere pezze al presente. Pensiamo al domani. Che arriva inesorabile e ci trova sempre impreparati. In Italia, e nel mondo di cui l’Italia fa parte: l’Occidente libero.