La lotta alla delinquenza
“Per battere la camorra non serve la demagogia”, il monito di Ernesto Albanese

Non basta rimuovere un murales o un altarino per cambiare Napoli. Non basta portare via le sedie, che da anni occupano il suolo pubblico solo dopo che ci scappa il morto, per sottrarre alla prepotenza criminale un territorio martoriato dagli abusi. Non servono i proclami politici se non si hanno un progetto serio e persone competenti per governare una delle città più belle ma anche estremamente complesse. «Altrimenti è solo demagogia», dice Ernesto Albanese. Manager e fondatore della onlus L’altra Napoli, impegnata nella rinascita del rione Sanità, accetta di fare con il Riformista una riflessione su quello che c’è dietro i fatti di cronaca che negli ultimi giorni hanno alzato l’ennesimo velo sulla violenza e sul degrado ai quali Napoli è abbandonata da tempo.
«È giusto ripulire la facciata di un muro e demolire l’altarino di un camorrista, ma se non si va alla radice per capire il motivo che determina un simile fatto è solo demagogia, solo un’azione totalmente simbolica che non cambia il destino della città». Come sperare invece in un cambiamento per questa Napoli dove ciclicamente si verificano gli stessi episodi, dove le criticità si ripresentano puntualmente irrisolte? «Servono un piano serio e persone competenti in grado di applicarlo. Serve non dover fare i conti con la politica da quattro soldi che poi spesso condiziona le scelte di chi deve governare – spiega Albanese – Ci vorrebbe un miracolo, ci vorrebbe uno che arriva e governa portando avanti il suo piano. Un piano fatto non di proclami inutili ma di azioni, di un budget, di una progettualità che consente di sapere bene dove prendere le risorse, come impiegarle, chi deve realizzare i progetti. E tutto ciò scegliendo persone all’altezza e pagandole adeguatamente, altrimenti i talenti non li attrai, ed evitando di scendere ai soliti compromessi con tutti quelli che ti hanno votato per cui sei costretto poi a scegliere personaggi che non hanno alcuna competenza per fare cose così difficili. Perché parliamo di cose difficilissime».
Albanese immagina Napoli come una grande azienda. «Chi deve amministrare Napoli ha una sfida gigantesca che è il futuro di milioni di persone e non c’è alcuna azienda che ha una responsabilità sociale così forte come quella di governare una città, per di più incasinata come Napoli». «Ma – aggiunge – bisogna avere il coraggio civico di dire queste cose, la realtà è la realtà. Se vuoi giocare in serie A, devi comprare giocatori e pagarli da squadra di serie A. E siccome la sfida di governare una città come Napoli è una partita non di seria A ma di Champions League, è ovvio che, se non compri giocatori all’altezza, è inutile che scendi in campo: perdi dieci a zero. Con la differenza che, se perdi dieci a zero una partita, fai dispiacere un po’ di tifosi; se continui a sbagliare ad amministrare la città, comprometti il furto di milioni di persone».
È nel degrado sociale che si annida uno dei mali peggiori di Napoli. «Se è vero che è aumentato del 60% il tasso di abbandono scolastico – osserva Albanese – bisognerebbe preoccuparsi sin da ora di cosa farà questo 60% di ragazzi tra qualche anno, di che tipo di vita avranno, quali attività potranno svolgere. È evidente che ci sarà un grosso problema di analfabetismo non soltanto civico e che saranno persone destinate a vivere ai margini della società con l’arte di arrangiarsi che spesso significa cedere ad attività semi-delinquenziali».
«Qui ci sono decenni di colpe dello Stato e di chi ha amministrato e ora c’è una voragine gigantesca. Per riempirla ci vorrebbe un intervento corale e vero, speriamo che vengano usate bene le risorse previste dal Recovery – afferma – Occorre partire dalla scuola e dai servizi». A Napoli a breve si andrà al voto per le amministrative. «Non mi sembra di aver sentito dai candidati grandi progetti su quello che va fatto – osserva Albanese – Molti parlano di grandi opere, grandi progetti, attrazioni di investimenti, ma nessuno spiega come intende affrontare il problema principale della città che è il tessuto sociale. È è come un lenzuolo bucato che, se non si rammenda, si continuerà a lacerare».
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