Davigo è il simbolo di una idea del diritto penale che guarda ad ogni attenuazione di pena, ad ogni anche solo parziale giustificazione di una condotta illecita, come ad una sconfitta dello Stato. Il video, che impazza sui social, di una sua performance obiettivamente straordinaria dal punto di vista dei tempi comici, che prospetta la possibilità che un omicidio volontario possa essere punito con poco più di quattro anni di reclusione, ne è la più lampante manifestazione. In questo mondo davighiano, l’avvocato è - ormai esplicitamente - un imbroglioncello dalle cui insidie occorre che il processo si difenda; è un soggetto eticamente inaffidabile, che orienta le sue scelte pensando solo al proprio guadagno; e, nei casi più complessi, un favoreggiatore dell’imputato che consentirà al colpevole di farla franca. Ed allora, invece di invocare protocolli e bon ton dagli avvocati che protestano, la magistratura italiana farebbe bene a fare i conti con ciò di cui il dott. Davigo è simbolo indiscusso, per interrogarsi se questo tacere sull’ormai incontenibile sua esposizione mediatica sia pavidità culturale, cinico calcolo di convenienza per gli equilibri correntizi, o infine piena condivisione di quell’universo di principi.