L'analisi
Per il Viminale c’è un boom degli usurai, ma così si creano mostri

Durante il lockdown sanitario la prima preoccupazione di tutti è stata l’immediata ricaduta economica e sociale che avremmo registrato. Proprio la mancanza di unità di intenti a livello europeo e di provvedimenti governativi lenti e poco efficaci, ci ha convinti che la crisi economica sarebbe stata più difficile da governare, lunga e che di essa si sarebbero avvantaggiate le organizzazioni criminali interessate sia a riciclare denaro sporco e ad avvantaggiarsi del possesso di risorse immediate per invadere in modo mascherato i diversi settori economici. E non c’è strategia migliore che finanziare sia i non bancabili che chi ha bisogno di liquidità con il mercato illegale del credito. A fine aprile, infatti, il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza lanciava l’allarme: a fronte di una forte riduzione dei complessivi reati in Italia (-66%) l’unico in crescita era l’usura (+9%). È una conferma delle preoccupazioni? Possibile che sia bastato un mese e mezzo di isolamento totale per confermare i timori sul rischio di ingresso dei capitali mafiosi nelle attività di imprese ed esercizi commerciali? Si potrebbe dire certo, in previsione dell’apertura piccoli imprenditori e commercianti – magari molti dei quali già indebitati o segnalati alla centrale rischi – non potendo rivolgersi alle banche per un prestito si rivolgono al mercato del credito illegale.
Ma se non sanno ancora quali ulteriori provvedimenti il governo prenderà, perché dovrebbero impiccarsi da subito allo strozzinaggio degli usurai? Possibile che aprano già le porte ai capitali sporchi, magari cedendo la titolarità del capitale sociale dell’impresa a qualche prestanome di qualche clan, oppure chiedendo soldi immediati? E poi che fanno, si sono subito pentiti e vanno a denunciare? C’è qualcosa che non quadra. Approfondisco. Primo dato: in Italia, se prendiamo solo il periodo che va dall’ultima crisi dei subprime 2008-2009 e il relativo credit crunch fino al 2013, abbiamo in media 405 denunce all’anno presentate all’autorità giudiziaria sull’intero territorio! Dell’intero periodo solo il 2009 fa registrare un valore più alto: 464. Non superiamo le 34 denunce al mese su base nazionale. Da tale periodo ad oggi il quadro nella sua sostanzialità non muta. Anzi, nel 2018 le denunce scendono a 189 e nel 2019 a 181. E allora? Questo 9% in più nel solo primo trimestre 2020 non dice niente! Forse si confonde l’allarme delle associazioni antiracket, delle fondazioni antiusura con le reali denunce all’autorità giudiziaria? La cosa non quadra.
Atteso che questi sono i valori e che nel Paese nel 2018 il 79,5% delle unità produttive italiane (821 mila: i due terzi delle imprese) con almeno 3 e massimo 9 addetti si regge su una gestione familiare, se è vero che esse sono più facilmente aggredibili, è anche vero che la costruzione delle traiettorie economiche di tali microimprese essendo nelle mani di nuclei familiari è più difficile che nelle condizioni date si mettano subito alla mercé degli usurai. Se oltretutto aggiungiamo le quasi due milioni di famiglie sovraindebitate registrate al primo gennaio 2017 (cresciute in 10 anni del 53,5%) in base all’elaborazione dati della Banca d’Italia, il numero delle denunce sebbene incrementate è risibile! Certo, l’usura è un reato nascosto, non si denuncia facilmente, in più il ristoro alla vittima avviene dopo percorsi procedurali e processuali lunghi e maledettamente impropri da non presentarsi come incentivi alla denuncia. Inoltre, la vittima vive un differimento temporale tra momento dell’incasso e consapevolezza dell’inferno prodottosi che è enorme.
È vero, le lunghe crisi economiche generano forme diverse di indebitamento incontrollato spingendo alla ricerca del credito usuraio, ma questa tempestività come si spiega? Certo, gli usurai si presentano in veste di benevoli offerenti di liquidità e poi si trasformano in breve tempo in divoratori mediante una packman strategy per acquisire patrimoni, imprese, alberghi, attività commerciali, riciclando al contempo denaro sporco. Ma i conti tornano. La crisi e il rischio fallimento non si negano, ma da qui a sostenere che categorie professionali spingano alla messa in scena del reato o a demonizzare quanti attorno all’usura possano costruirvi vantaggi appropriati ce ne passa. Un dubbio però mi assale: vuoi vedere che ancorché una packman strategy ci troviamo di fronte a qualcosa di peggiore? Mi viene in mente la deliberazione 9 del 24 maggio 2018 della Corte dei Conti sulla “Gestione del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura”. In essa si sostiene che, attesa l’esclusione dal Fondo per tutte le vittime che abbiano rapporti con “ambienti delinquenziali”, si è già riscontrato un sensibile incremento di domande di accesso al Fondo da parte di vittime che dalle risultanze istruttorie e dalla lettura degli atti giudiziari, non avevano alcun titolo in quanto “appartenenti o affiliati a gruppi della criminalità organizzata di tipo mafioso”.
Cosa era successo? Da un lato, il Fondo ha dovuto soccombere per 14,7 milioni di euro a un contenzioso posto in essere per “pronunce giudiziarie sfavorevoli o transazioni stipulate per evitare ulteriori spese”; dall’altro, ancora al 30 giugno 2017 “pendevano giudizi per ulteriori 18,3 milioni molti dei quali già decisi con sentenza di primo grado sfavorevole al Fondo”. Insomma, pur avendo il Comitato di solidarietà antiracket e antiusura rigettato istanze di persone prive del requisito di estraneità ad ambienti criminali per oltre 40 milioni, la Corte dei Conti valuta nella relazione che l’impianto della truffa ordito dalla malavita organizzata varia tra un minimo di 15 ad un massimo di 30 milioni di euro! Ecco che tornano i conti. Tra l’altro metto questo dato in relazione all’inchiesta partita dalla procura di Potenza e l’ipotesi della messa in scena ordita dalla rete illegale per generare tutti i vantaggi derivanti dallo status di soggetto usurato. Allora, il rischio del riprodursi di false denunce non è peregrino e se l’inchiesta di Trani confermerà quanto accertato, avremo la quadratura del cerchio e sarà documentato in giudizio ciò che molti imprenditori, vittime di accuse simili hanno dovuto subire.
© Riproduzione riservata