Sa che il possibile traditore è tra i discepoli. Per questo li ha voluti raccogliere intorno al grande tavolo rotondo del Consiglio dei ministri e guardali in faccia, uno per uno, a cominciare da chi siede alla destra e alla sinistra, i due vicepremier Salvini e Tajani. Le sacre scritture ci perdoneranno. I credenti anche. La blasfemia è in agguato. Ma calza a pennello: Giorgia Meloni come Gesù quando pronuncia il discorso della montagna. Per dettare il bilancio del primo anno di governo e programmare l’autunno e l’inverno che verranno, fino alla primavera inoltrata quando 450 milioni di europei andranno ad eleggere 705 rappresentanti.

“Ci aspetta un anno molto impegnativo che culminerà con le elezioni europee e la presidenza italiana del G7. Serve il massimo della compattezza, della determinazione e concentrazione” ha detto la premier nell’intervento che, eccezionalmente, ha voluto fosse distribuito anche alla stampa accreditata. Ecco il programma: Nadef (entro il 27 settembre) con allegati i disegni di legge che saranno collegati alla manovra, legge di bilancio (ottobre-dicembre), immigrazione, riforme tra cui anche l’autonomia differenziata. Soprattutto tagli, spending review e vendita di asset non più strategici. Patti chiari e amicizia lunga, quindi. Con regole d’ingaggio da rispettare: ogni ministro faccia la sua parte, collabori ed eviti di cadere nella tentazione di cercare consenso in vista del voto europeo. I presenti raccontano che la premier ha parlato cercando lo sguardo e l’approvazione di tutti. Soprattutto di Salvini. Ma non solo.

Anche la prossima legge di bilancio dovrà essere seria per supportare la crescita, aiutare le fasce più deboli, dare slancio a chi produce e mettere soldi in tasca a famiglie e imprese” ha detto Meloni. E fin qui, tutti d’accordo. Gli sguardi non si sono più incrociati quando la premier ha insistito su un concetto che il ministro Giorgetti va ripetendo da una settimana abbondante: “Non ci sono soldi, dobbiamo usare bene quelli che ci sono, ciascuno deve fare lo sforzo di tagliare quello che può e non serve”. Appello che arriva giusto giusto con quel mese di ritardo visto che proprio a luglio i ministeri, tutti, dalla Pa alla Cultura, dal Turismo allo Sviluppo economico fino all’Ambiente, hanno raddoppiato staff e collaboratori. In cerca di almeno trenta miliardi – ce ne sono neppure la metà – la caccia del governo alle risorse passa soprattutto per la spending review.

Entro il 10 settembre i ministeri dovranno comunicare le proprie proposte di risparmio. Non saranno toccate le spese per i progetti del Pnrr e la ricostruzione a seguito di calamità naturali. Ma tutto il resto dovrà essere ricalibrato. “Verificate nel dettaglio – ha spiegato – sprechi e inefficienze devono essere tagliati e le poche risorse che abbiamo devono essere spese al meglio”. È solo una coincidenza che, ad esempio, la campagna del ministero del Turismo Open to meraviglia sia finita sotto inchiesta della Corte dei Conti? La campagna non è più visibile sui social da luglio. E l’agenzia che l’ha inventata ha già intascato 130 mila euro.

Dunque, “non una semplice spending review o un elenco di voci da tagliare. Se ci sono misure che non condividiamo politicamente, quelle misure non vanno più finanziate e le risorse recuperate”. Primi indiziati la legge sulle autonomie e il Ponte sullo stretto. Ed è a questo punto che, raccontano due ministri presenti, “gli sguardi non si sono più incrociati e anzi gli occhi si sono voltati altrove”. Tranne quelli di Giancarlo Giorgetti, il ministro economico con cui si è ricreato un asse robusto dopo lo strappo sull’una tantum agli extraprofitti delle banche e a cui lunedì la premier ha affidato una sorta di delega in bianco per andare avanti sulla strada del “rigore” e della “serietà”.

È bastata una frase: “Condivido la richiesta del ministro Giorgetti”. Sottotitolo: vietati gli assalti alla diligenza, cioè alla legge di bilancio. A giorni saranno disponibili le cifre reali, soprattutto quelle del gettito fiscale. Giorgetti ha lasciato poi, nella conferenza stampa post cdm, un contentino: “Questo governo è tarato sui 5mila metri e non sui cento. Dunque ci sono obiettivi di legislatura che non vanno confusi con gli obiettivi anno per anno”. Cosa riuscirete a fare quest’anno tra pensioni, flat tax e superamento della Fornero sulle pensioni che sono i tre grandi cavalli di battaglia della maggioranza? “Magari qualcosa di una di queste misure” ha tagliato corto Giorgetti.

Il problema è che a Matteo Salvini non tornano i conti. Il vicepremier e titolare delle Infrastrutture chiede soldi per avviare il cantiere del Ponte sullo Stretto, “almeno due miliardi”. Ma quei soldi non ci saranno. Non si potrà intervenire sulle pensioni se non per confermare l’esistente, Quota 103 e l’Ape social per i lavori usuranti. Incerta anche Opzione Donna. Eppure Salvini torna a bomba: “No, quota 41”. Impossibile. Il segretario del Carroccio vuole un fisco più leggero per le partite Iva e magari una nuova pace fiscale. Non ci sono i soldi. E la richiesta di Forza Italia “allora alziamo le pensioni minime”, risponde solo al gioco della bandierina. Figuriamoci le accise sulla benzina che ieri, quasi a dispetto, ha toccato un nuovo record. “Una limatina” ha ipotizzato nei giorni scorsi il sottosegretario Durigon (Lega). “Mai” ha avvisato Urso, “quei maggiori incassi ci servono per il taglio del cuneo”.
Insomma, Meloni per ora può contare su Giorgetti. E viceversa. Tutti gli altri hanno abbassato gli sguardi.

Claudia Fusani

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