Le dimissioni del segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti sono l’ennesimo, ma non ultimo, tassello del terremoto prodotto dalla crisi dei partiti che ha spinto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a conferire a Mario Draghi l’incarico di costituire un governo di ricostruzione nazionale. Le convulsioni dei partiti mettono in discussione tutto, dalle strategie di alleanza più o meno solide alla conformazione dell’offerta politica alle prossime elezioni, ormai assolutamente imperscrutabile. In questo quadro molto problematico si profilano le elezioni al Comune di Napoli. La campagna elettorale è iniziata.
Il Pd, che dal 2012 a oggi (eccezion fatta per i 15 mesi del governo Conte I) è stato contemporaneamente al governo a Roma e all’opposizione a Napoli, versa in uno stato pre-comatoso. Sul piano locale è basta la candidatura di Bassolino (tempestiva eccome!) a diradare in un attimo un ottimismo sparso per mesi a piene mani, tramutandolo in sbandamento se non in panico. Tutto il lavoro fatto – e più ancora sbandierato – di coinvolgimento della società civile nella formulazione di programmi e scelte appare futuro remoto. E lo è ancor più di fronte all’ipotesi di candidatura di Roberto Fico. Il presidente della Camera starà anche adempiendo scrupolosamente alle sue funzioni super partes, ma appare lunare immaginare una sua investitura senza alcune garanzie basilari alla luce delle sue note posizioni di interlocutore privilegiato di de Magistris.
Perfino quel Pd che sempre ha coltivato, con rare eccezioni, un rapporto ambiguo con il sindaco e con Dema (ricordate le presenze dell’attuale segretario provinciale alle assise del Modernissimo, meno di tre anni fa?) non potrebbe convergere su tale ipotesi senza un preciso impegno di discontinuità, pena l’implosione. Dal canto suo, sia la discesa in campo di Bassolino sia il fatto stesso che circoli con insistenza l’ipotesi Fico (ma potrebbe essere Spadafora o chiunque, a questo punto) è segno che il Pd napoletano e campano non ha saputo coltivare una classe dirigente credibile e riconosciuta negli ultimi 15 anni. Tanto da puntare finora, semmai, su napoletani cresciuti fuori dalle dinamiche locali o partitiche tout court.
La permanenza di Enzo Amendola nel Governo nazionale e i dubbi mai sciolti dell’ex ministro Gaetano Manfredi verso una competizione difficile, con avversari “affilati” ormai in campo, in un quadro partitico iper-frammentato, lasciano il partito senza prospettive. A lungo è stato disegnato un profilo di una personalità nota a livello interazionale e, se non ci vogliamo prendere in giro, questa persona non poteva essere certo Fico che sicuramente farà le sue affacciate all’unione interparlamentare ma è del tutto sconosciuto nei circuiti internazionali, siano essi quelli della ricerca o delle professioni, della politica o del no-profit.

In tutto questo manca una prospettiva riformista per Napoli. Il riformismo, soprattutto quando si tratta di governare una città difficile e complessa come quella partenopea, non è il mantra facile da abbracciare che accomuna coloro che hanno perso la fede o la speranza verso la prospettiva salvifica di una rivoluzione. Né è la parola da contendere a Matteo Renzi, da parte di chi ne è ossessionato. Il riformismo, soprattutto sul piano amministrativo, è ben altra cosa. È studiare, conoscere, analizzare, al fine di formulare politiche, azioni e programmi che tengano conto delle esigenze basilari delle persone: funzionamento dei servizi pubblici, rinnovamento della macchina amministrativa, manutenzione e valorizzazione del patrimonio pubblico, attenzione alle dimensioni produttive nell’ottica dello sviluppo sostenibile, lucido perseguimento di un’idea di città (che dovrebbe essere realmente metropolitana) per i prossimi decenni. Prima del Covid i trend turistici non erano malvagi, anzi.

Ma il mondo del dopo-Covid non riprenderà la sua vita come prima e sarà completamente diverso. In un momento di crisi come questo si realizza uno spartiacque tra creatività e innovazione da un lato, inerzia e rendite dall’altro. Soprattutto in un’Europa che sarà trasformata dai fondi del NextGeneration EU e che dovrà affrontare la concorrenza di un Oriente, Cina in testa, uscito molto rafforzato da questa emergenza. Cambieranno i flussi, le gerarchie, ci saranno riposizionamenti, occorrerà fornire servizi tecnologici nuovi per restare nel circuito della globalizzazione che a un certo punto ripartirà con vigore potenziato e con pretese di qualità nuove e inespresse. Napoli galleggiava, senza brillare, con posizioni sicuramente non all’altezza delle sue potenzialità.

L’amministrazione uscente non è stata certo a misura di turismo e di innovazione che si sono manifestati nonostante l’operato della giunta de Magistris e non certo con il suo favore. Senza che tutto ciò, tra l’altro, sia stato controbilanciato da una peculiare attenzione alle politiche sociali, sul cui stato è meglio stendere un velo pietoso. Insomma, Napoli ha bisogno di una classe dirigente attrezzata e all’altezza di un compito storico. Non basterebbe una foglia di Fico.