Tra le menzogne propinate da Putin per motivare l’invasione dell’Ucraina c’è perfino quella di compiere un’azione di “peacekeeping” nelle regioni del Donetsk e di Lugansk. La memoria corre al 1987, all’origine della tragedia nella ex Iugoslavia innescata dall’allora leader del Partito comunista serbo Slobodan Milosevic, che dichiarava: “Sul fronte domestico ed esterno, i nemici si stanno ammassando contro di noi”. Ancora un presunto accerchiamento farcito con il nazionalismo più anacronistico e violento. Alcuni anni dopo, intervistato dalla BBC, Milosevic affermava: “La situazione in Kosovo era intollerabile (…) I serbi erano stati privati dei loro diritti. Gli albanesi volevano un Kosovo etnicamente puro.”

Lo scorso 22 febbraio Putin ha affermato: “Ciò che sta accadendo oggi in Donbass è genocidio”. Conosciamo i sedicenti pompieri che per spegnere il fuoco seminano altro fuoco, devastazione e morte. La distruzione odierna è possibilmente ancor più grave perché travalica i confini di un altro Stato. Un disegno criminale che inevitabilmente colpisce anche coloro che sono impegnati in tali operazioni di “peacekeeping”: tra le vittime delle menzogne di Putin, a cui è appunto negato il diritto alla conoscenza, ci sono sia migliaia di soldati russi mobilitati dal pericolo di un’imminente invasione da parte dell’Ucraina e della Nato, sia migliaia di cittadini russi perseguitati e incarcerati per aver manifestato contro la guerra, o costretti a fuggire dall’isolamento in cui è piombato il Paese. Secondo Memorial Italia, parte del network di Memorial International, l’ONG per i diritti umani liquidata dalla Corte Suprema russa, sono almeno 80.000 i cittadini russi scappati in Armenia, 35.000 in Georgia, 10.000 in Turchia.

In un articolo pubblicato il 7 marzo 2005 sul Corriere della Sera, intitolato non a caso “La resa ai dittatori chiamata ‘Pace’”, lo stesso Pannella scriveva in merito alla seconda guerra del Golfo del 2003: “Quando, come radicali, abbiamo tentato di contrapporre alla ‘necessità’ di una fase bellica, la scelta di liberare l’Iraq, di por fine allo sterminio delle popolazioni irachene con la sola arma della democrazia e della diplomazia, della scelta di un’immediata attivazione di un progetto – garantito dall’ONU – di transizione verso la democrazia in Iraq, assicurando a Saddam la convenienza della scelta dell’esilio (progetto fatto proprio dalla maggioranza assoluta dei parlamentari italiani, di centro-destra e di centro-sinistra), costoro [i pacifisti] nemmeno mostrarono di accorgersene.” A chi invoca la “pace subito”: quale pace? La “pax putiniana”? Le bombe in Ucraina su ospedali e teatri, il massacro di persone in fila per cercare di acquistare del pane, sono crimini su cui la Corte Penale Internazionale (CPI) ha aperto un’indagine e invitato chiunque abbia prove a inviarle alla Corte, anche se sarà impossibile portare a giudizio davanti alla CPI i responsabili di tali crimini, non avendo l’Ucraina e la Russia mai ratificato lo Statuto di Roma.

In teoria, lo potrebbe fare l’Italia, perché – come spiega l’Avv. Paolo Reale – per il crimine di aggressione e per quei crimini di guerra che per motivi vari non potranno essere perseguiti dalla Corte Penale Internazionale, “potrà essere esercitata direttamente dai singoli Stati la propria giurisdizione extraterritoriale, che in relazione ai crimini internazionali è più corretto definire giurisdizione universale, che consente di processare e punire, a determinate condizioni, anche gli stranieri che commettono all’estero gravi crimini in danno di vittime non italiane”. Il 16 marzo anche il Papa ha pregato perché la mano di Caino si fermi. Ciò può avvenire fornendo armi agli ucraini, isolando Putin dalla comunità internazionale, lasciando che la sola entità autorizzata a processarlo sia la giustizia internazionale oppure… cercando qualcosa di meglio del diritto penale, di alternativo a tribunali e processi penali. Non mancano nella nostra storia anche recente esempi – penso al Sudafrica, penso al Ruanda – di corti, commissioni e processi di verità e riconciliazione! Questo permetterà di rendere conoscenza dei fatti commessi e avviare un processo di riconciliazione tra ucraini e russi.

I processi, pure penali, nei confronti di Caini come Milosevic, Karadzic e Mladic hanno giovato a un faticoso percorso di verità e riconciliazione nei Balcani, non ancora del tutto completato. Non v’è stata nei loro confronti nessuna pena di morte, ma per alcuni di loro la pena è stata fino alla morte. Sappiamo, invece, come è finita con Saddam: bombardato, braccato, cavato fuori da un buco e impiccato alla maniera “saddamita”, senza nessuna pietà. “Nessuno tocchi Saddam”, aveva allora invocato Pannella che, per salvargli la vita, aveva fatto un durissimo sciopero della fame e della sete. Dovesse accadere, il nostro “nessuno tocchi Caino” varrebbe anche per Vladimir Putin. Nessuna vendetta, nessuna pena di morte, nessuna pena fino alla morte. Cerchiamo, anche in questo caso, qualcosa di meglio del diritto penale!