Si è chiuso il ciclo del Partito democratico che ha governato per anni, senza mai vincere le elezioni. Malato di governismo e di unanimismo e, nelle elezioni del 25 settembre, si sono visti i risultati, è andato incontro alla debacle elettorale, a cui dovrà trovare l’antidoto per non scomparire dalla scena politica. In ogni elezione perde voti senza acquistarne dei nuovi.

Come fa ad acquisire nuovi elettori, quando è fonte di scissioni, creando nuovi “spin off”: Articolo 1, Calenda e Renzi. Tant’è, in 15 anni, ha cambiato 10 segretari oltre Letta. La causa è l’ingovernabilità, dovuta alle correnti interne, che scelgono segretari senza linea politica, ma in base ai rapporti di forza che si creano di volta in volta. Attualmente poi si è aperto un nuovo terreno di scontro: chi vuole fare l’alleanza demogrillina e chi no. Sbagliando, invece di costruire una roadmap e un programma congressuale, ci si divide sulle alleanze future. Male endemico del Pci – di cui i post comunisti dem hanno avuto in eredità – che andava alla ricerca di alleanze, come si è visto nell’”operazione Milazzo”.

L’antidoto sta nel lancio di una “Costituente”, azzerando i gruppi dirigenti nazionali e periferici, altrimenti sarebbe una operazione gattopardesca. Dal partito piramidale al partito cilindro. Sicché, per fare ciò, bisogna farsi carico di coraggio, per una scelta che dovrebbe avere come parola d’ordine di nenniana memoria: “Cambiare o perire”. “Costituente aperta” con una partecipazione di massa. In primo luogo, “aperta” alle associazioni, a segmenti di partito senza più una stella polare, alla società civile, alle forze sindacali non in chiave di un ritorno al passato come cinghia di trasmissione. In secondo luogo, da questa nuova comunità dovrà venir fuori un serrato dibattito dialettico per costruire una visione comune e una forma partito contenente la democrazia interna a misura dei tempi per sopperire al vuoto di regole del gioco.

Tuttavia, il nodo da sciogliere – per il Pd è un nodo gordiano, che alla fine ha pagato amaramente – è la mancanza di chiarezza: è un partito di peculiarità di sinistra o di centrosinistra oppure di centro sinistra. La mancanza di identità politica ha creato una sorta di babele e di rissa continua. In effetti, c’è tutto e il contrario di tutto, per la ragione che manca di un’anima e di un appeal. Quell’anima sono i lavoratori e l’appeal viene data dalla cultura politica, ossia da una visione. Come non accorgersi che il partito, in questi anni, aveva cambiato pelle: più centro storico (Ztl) e meno periferie, molto ceto abbiente e pochissimi operai. In definitiva, il governismo a tutti i costi ha prodotto che la cosiddetta forbice tra governanti e governati si è sempre più allargata.

Non è che bisogna tornare al gramsciano “blocco storico”, ma avere dei referenti sociali per cui lottare per diminuire le diseguaglianze sociali, per emanciparli, per limitare il divario Nord/Sud, altrimenti si è senza radicamento e, alle spicce, ci si ritrova nel gelatinoso, nel liquido e nella volatilità del voto. Di questo passo, resterà in vita poca cosa. A pensarci, il Pd che era il punto di coagulo dell’élite, dell’establishment e del deep state, oggi non c’è più. Non sappiamo se siano stati i democrat a tradirli o questi ad allontanarsi non vedendoli più in grado di recepire le loro istanze. L’operazione di unire ex Margherita ed ex Ds, che fu una specie di fusione a freddo, ha portato a un’amalgama mal riuscita e, per di più, sono sorti degli “antipatizzanti” nei confronti del Pd. Il che dovrà portare senza titubanze al cambio di nome.

Di certo un partito, tipicamente riformista, non può non guardare alla socialdemocrazia, odiata dai comunisti d’antan e dai post e mal digerita dagli ex democristiani. D’altro canto, il 14 febbraio del 2014 il Pd entrò nel Pse e passarono ben 7 anni dal giorno della sua fondazione, il 14 ottobre 2007. In definitiva, si tratta di residui massimalisti e integralisti che dovrebbe avere la forza di superare. Il congresso del Pd vede numerosi candidati in lizza per la segreteria, ma nessuno di questi è portatore di un progetto di un partito nuovo e di una socialdemocrazia rifondata come fece l’Spd a Bad Godesberg, Mitterrand a Epinay e Bettino Craxi con il Midas.