L'intervista
“Per Roma io ci sono. Serve un progetto ampio e una squadra di cento persone”, l’annuncio di Luca Bergamo
Era Assessore alla cultura di Roma Capitale, e forse qualcosa di più, Luca Bergamo. Un vice sindaco insidioso per Virginia Raggi, che un mese fa lo ha messo alla porta. Prime esperienze politiche nella Fgci, al Mamiani, poi manager della cultura cresciuto nel vivaio di Rutelli, Luca Bergamo ha mosso i primi passi tra l’Ulivo (Alleanza Democratica) e le frizzanti estati romane degli ultimi Novanta. Passato per il Glocal Forum, era alla guida di Cultural Action Europe quando venne chiamato a Roma da Virginia Raggi. Oggi Bergamo può essere il candidato che riunisce M5S, cui non è iscritto, Pd e sinistra per offrire agli elettori una alternativa credibile alla destra che tutti i sondaggi danno per incombente. In grado di trasformare Roma nel primo laboratorio di sintesi dell’era post-contiana. Perché subito Bergamo chiarisce la sua posizione: “Fossi stato deputato avrei votato la fiducia a Draghi, ieri. Applaudendolo convintamente”.
Com’è nato il suo impegno con la giunta Raggi?
Stavo a Bruxelles. Mi ha cercato lei, invitandomi a Roma per parlare dell’assessorato alla Cultura. C’è stato un confronto, ha apprezzato il mio punto di vista e io ho accettato di metterci la faccia. Avendo io una storia nota e non essendo un militante Cinque Stelle. Gliene sono grato.
La rottura a cosa si deve?
Non per la valutazione del lavoro o dei suoi risultati, ma per le osservazioni che ho fatto ad agosto. Le modalità di costruzione del secondo mandato Raggi secondo me non creavano le condizioni per una rielezione: dividono. Aprono le porte a una vittoria della destra a Roma: una disgrazia.
La candidatura Raggi divide perché lei non ha convinto.
Non la metterei così, anche se c’è da fare anche i conti con i pregiudizi in un elettorato. Ma rimane il problema della modalità: se costruisci una candidatura senza confrontarti con chi dovrebbe sostenerti, è difficile che poi ti sostengano.
Roma ce la può fare?
Ce la deve e ce la può fare se rivolge lo sguardo verso l’alto. Perché la macchina amministrativa come i servizi vanno fatti funzionare bene, ma nello stesso tempo bisogna scommettere sul futuro, specie in un momento in cui le persone ne hanno paura. Bisogna tornare ad avere una visione grande, in campo lungo, al cui centro sono l’ambiente e la dignità umana.
Al momento sono in campo Raggi, Calenda e Gualtieri.
Se si sta sullo scontro A contro B contro C, è chiaro che non si va da nessuna parte. Ci vuole una candidatura che unisce, non divide. Che somma e non sottrae. In grado di riportare le persone a votare perché vedono una prospettiva.
Lei sarebbe disponibile come candidato sindaco?
Nell’ottica di un progetto ampio, con cento persone che si mettono a disposizione, come dice Rutelli, sì, sarei tra queste, con orgoglio per quanto fatto.
Rivendica un’azione positiva, sulle politiche culturali?
Abbiamo ridato vigore, vivacità e prospettiva. Una programmazione diffusa e partecipata, un cartellone ricco di presenze internazionali, il patrimonio culturale non solo per i turisti, la rivoluzione delle biblioteche di quartiere, diventate centri culturali diffusi. Accolgono ragazzi e anziani, offrono conferenze e proiezioni, i quotidiani da leggere ogni giorno, gli autori che presentano i libri… E abbiamo tenuto testa al covid.
Ha guardato al modello delle giunte di sinistra.
La migliore giunta che Roma abbia avuto è la prima giunta Rutelli. L’ho già detto. Ricordo la vivacità culturale e la collegialità dell’organismo guidato da Rutelli, pur nella dialettica. Lo si deve anche a Walter Tocci e ai tanti bravi assessori che fecero quella stagione. Un modello che con le dovute contestualizzazioni, può rivivere oggi. Lo spirito di squadra ci salverà.
Non con i soldi del Giubileo, stavolta, ma con quelli del Recovery.
Roma avrà risorse in base alla capacità di presentare progetti. Per questo, nell’interesse di tutti, dobbiamo unire le forze, attrarre idee e talenti e scongiurare lo scontro balcanizzato.
Lo spirito di squadra dei tempi di Rutelli lo ha vissuto con la Raggi?
No, e questa è stata una debolezza di questa esperienza.
Chi può essere il Mario Draghi di Roma?
Capisco che l’effetto-Draghi oggi faccia pensare diversamente, ma a Roma non serve il superomismo. Serve una squadra coesa e un’idea condivisa per sbloccare le situazioni.
Pd-M5S-Leu fanno fronte comune. Un modello che prende forza dal caso Roma?
Sì, deve. E’ un incontro necessario, il solo da cui può emergere la spinta ambientalista che all’Italia manca. Pur esterno al Movimento, ho sempre pensato che le sue radici e i valori originali fossero quelli sbiaditi in una sinistra che si è lungamente seduta sulle conquiste ottenute nel Novecento, limitandosi a difenderle. Lo dissi prima del governo gialloverde e anche quando c’era Salvini ministro, ricevendo critiche.
A forza di stare a lungo seduta, si è addormentata?
Secondo me lo era. E, forse accettando l’incarico sono stato tra i primi a scommettere nel Movimento come una forza capace di far vivere con la sinistra quei valori, oggi e domani. Il M5S è nato su battaglie fortemente di sinistra e ambientaliste. Poi l’ondata anti establishment e poi si è misurato con i limiti che impone il governo, riuscendo però a realizzare alcune grandi idee su cui era nato.
Con qualche cedimento di troppo al giustizialismo.
I reati vanno puniti, ma affidarsi al pronunciamento giudiziario per dare un giudizio politico è una distorsione non recente anche della sinistra. Si può fare pessima politica senza compiere reati o incappare in reati pur lavorando per l’interesse pubblico. Il caso Appendino lo dimostra. La politica non può essere sempre e solo uno scontro di civiltà. Tornando a noi, Roma è per sua natura luogo di incontro, crocevia di strade. La capitale giusta da dove può ripartire un patto politico che torni a unire.
Fa bene Raggi a volere il voto online del Movimento sulla sua ricandidatura?
Un referendum sulla persona invece di un confronto su presente e futuro della Capitale? È semplicemente sbagliato. Oggi l’interesse dei romani si tutela confrontandosi sulle prospettive, non sulle ambizioni personali per quanto legittime possano essere.
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