Estubato è una terribile e tragica parola. È l’opposto d’intubato. È ciò che capita quando gli eventi costringono a fare delle scelte. Così il nostro Ministero della Salute: «Il termine triage deriva dal verbo francese trier e significa scegliere, classificare e indica quindi il metodo di valutazione e selezione immediata usato per assegnare il grado di priorità per il trattamento quando si è in presenza di molti pazienti». E quando i pazienti da molti diventano un numero insostenibile? Forse il significato più crudo di estubato è: mors tua vita mea. Ricorda il film La scelta di Sophie.

Nessuna preferenza emotiva, è il ragionamento scientifico che suggerisce una sorta di “distruzione creativa”. Si tratta di fare una scelta, probabilmente tra chi è anziano già affetto da importanti patologie e chi in quanto più giovane ha una aspettativa di vita più lunga. Con molta delicatezza: «l’auspicio è di non doversi trovare nelle condizioni di non garantire a tutti le cure». Quante volte in questo periodo d’emergenza medici e infermieri sono stati costretti a compiere delle scelte? Probabilmente, e forse è meglio, non lo sapremo mai. E forse non lo vogliamo neppure sapere. Non è il trionfo dell’estetica (non sapere e fare finta di nulla) sull’etica (colpevolizzare e colpevolizzarci), ma è più comodamente fare come gli struzzi, infilare la nostra testa tra i cuscini del divano. Però sappiamo che delle selezioni sono state fatte e forse ne seguiranno altre.

Le scelte non si consumano solo all’interno del perimetro del Coronavirus, ma inondano anche chi indirettamente non può usufruire dei normali servizi sanitari. Sono i danni collaterali. Tutto come ciò si pone all’interno della storia del capitalismo?  Fino a quando non si trova un vaccino, la migliore soluzione sembra essere quella dell’isolamento. Un comportamento inusuale per il sociale homo sapiens abituato allo spritz serale con gli amici e le amiche. Segregazione, quindi l’emanazione di norme coercitive che impongono ciò che si può fare: il perimetro delle libertà individuali viene drasticamente ridotto.

Severi provvedimenti che meglio s’addicono ad un sistema autoritario piuttosto che ad uno democratico elettivo. Così si è incominciato anche a discutere dei diversi modelli di governance trovando in quello cinese degli aspetti positivi. Tutti d’accordo: il China Model è più efficiente in quanto può schiacciare la libertà degli individui e calpestare i diritti civili. Però la severità (che nel caso del contenimento della diffusione del Coronavirus sembra sia buona cosa) in Cina non viaggia in solitudine, è accompagnata dalla censura, dalla cieca rettitudine dell’esercito in strada. Noi non subiamo il sistema hukov, il controllo tentacolare della popolazione.

Quanta della nostra libertà siamo disposti a sacrificare? Forse quanta ne occorre per pensare alla fine di questo surreale incubo. Vogliamo tornare a correre al parco, ma in salute senza mascherine e senza il timore d’ammalarci. Sicuramente per sconfiggere il Coronavirus siamo disposti a tanto, ma non a sopportare le privazioni imposte da un sistema totalitario di stampo cinese. La diffusione Coronavirus ha esaltato un aspetto comune alla Cina, all’Italia e ad altri Stati che stanno vivendo quasi contemporaneamente una comune contraddizione: il rapporto conflittuale tra periferia e centro. Wuhan è distante da Pechino quanto Milano lo è da Roma? In Germania il land più colpito è quello periferico del Nord Reno-Westfalia, distante dalla capitale Berlino.

Il centro riesce ad assorbire ed emanare direttive che soddisfano la periferia? In Italia la sanità è la competenza delle Regioni che impegna la gran parte del bilancio. Nonostante si sapesse che il Coronavirus sarebbe arrivato, le iniziali incomprensioni tra i Governatori di alcune Regioni particolarmente colpite e Roma hanno in qualche modo, così com’è accaduto in Cina, facilitato la diffusione? In Germania dove le autonomie regionali sono più forti e hanno più potere decisionale, dove sembra che il Coronavirus sia principalmente una questione d’immagine e di minimizzare (per non ammaccare) il teutonico già ferito sistema economico, quali saranno gli sviluppi? Mentre noi al di sotto delle Alpi facevamo sacrifici, i cugini francesi organizzavano il raduno mondiale dei Puffi.

Anche i cinesi si prendono beffa di noi: il noto artista Ai Weiwei (dissidente?) ha seminato su Instagram farneticanti immagini accompagnate da didascalie non certo gentili: “Coronavirus come la pasta, i cinesi l’hanno inventato ma gli italiani lo diffonderanno in tutto il mondo”. Prima del messaggio della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ci sentivamo soli. Anche perché il Coronavirus sembrava passato da Made in China a Made in Italy. Anche perché da Bruxelles (il centro dell’Europa), verso la periferia (gli Stati membri) non sono state emanate regole ben precise per uniformare i controlli.

Anche se con grandi errori di comunicazione, gli italiani si sono comportati onestamente. Tra i partiti italiani bisogna, ancora una volta, evidenziare il morboso attaccamento dei Cinque Stelle alla mamma Cina. I precedenti sono noti. Non solo la cieca sponsorizzazione del progetto d’espansione globale della Nuova via della Seta, le foto di Casaleggio e Beppe Grillo con l’ambasciatore della Cina, le cene riservate tra quest’ultimi due. I viaggi in Cina con amorevoli intenti del ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Alcune sere fa sulla casella facebook di un onorevole pentastellato che, tra l’altro vanta un importante incarico alla Camera, è apparso (poche ore dopo è sparito) un imbarazzante manifesto: «La Cina sostiene l’Italia in arrivo: 1000 ventilatori, 50 tamponi (…) L’amicizia e la solidarietà reciproca pagano». In realtà, ma la cosa è da appurare, sembra che non sia la sola solidarietà a pagare, ma anche le casse dello Stato italiano che sta acquistando quel materiale sanitario dalla Cina. È il tempo delle scelte. Il Corinavirus ci obbliga a farne. Alcune tragiche, come gli estubati. Aiuta a comprendere, e ad apprezzare, modelli di governance (che belle la libertà e la democrazia), a capire i punti di debolezza e frattura tra la periferia e il centro, quanto sia inaffidabile l’Europa e a far capire quanto per i Cinque Stelle, nonostante la tragicità dell’evento, la Cina sia ancora più vicina.