Ci sono argomenti di cui tutti sussurrano ma pochi o nessuno hanno voglia di parlare. In Inghilterra in testa alla classifica sono i rapporti sessuali fra coniugi e i rapporti dei servizi segreti. Tutti sono contenti che ci siano, ma pochi ritengono utile darne notizia. In Italia l’argomento più avvolto nel pudore e più protetto dalle formule più innocue e meno significanti è quello dell’identità di destra nel prossimo futuro.

Ovviamente tutti i segmenti della destra affermano con convinta passione di essere strettamente ben collegati e integrati salvo ripetere con altrettanta passione e ovvietà, ma in modo distratto, che per fortuna ogni partito ha la sua anima, altrimenti sarebbe un partito unico, e dunque viva le diversità. Così messo il discorso non fa una piega, mentre invece la stoffa del discorso comincia a dare segni di logoramento. Ai margini dell’arena politica stanno accampati Carlo Calenda con le sue truppe, Matteo Renzi e i famosi cani sciolti, vedi la spunta di coloro che hanno eletto Ignazio La Russa presidente del Senato al primo colpo, per dare un segnale di ostilità e contemporaneamente di disponibilità. Ostilità a Forza Italia (“questa maggioranza si regge anche senza di voi”) e di disponibilità (“questa maggioranza si regge anche senza di loro, perché ci siamo qui noi, pronti a sostituirli, basta fare un fischio”).

È stata una specie di Opa sottobanco (ma anche di pizzino sopra banco) che il governo Meloni non ha respinto affatto, ma anzi ha accolto lodando sapore e consistenza, secondo il noto principio kantiano rivisitato anche da Alberto Sordi, secondo cui “Piatto ricco, mi ci ficco”. Di lì la prima reazione rabbuiata di Silvio Berlusconi che non è nuovo alla politica e neanche agli atto di ipocrisia. Il segnale che gli era stato recapito diceva: non crediate di fare tanto gli indipendenti, perché ci mettiamo poco a farvi fuori, a sostituirvi.

Con pigrizia molti giornalisti si chiesero quale sarebbe stato il premio di pronto incasso con cui retribuire quel gesto da convitato di pietra. Non c’era ovviamente da retribuire niente. Era stato siglato un patto: questo governo ha due maggioranze, una scoperta e una coperta. A carte scoperte, la coalizione è quella della foto ufficiale: la giovane Meloni che sempre più somiglia al Giamburrasca di Rita Pavone, si cimenta in zuffe internazionali da vicolo, esemplare quella con Emmanuel Macron sulla questione della Ocean Viking, che ha fatto masticare amarissimo sia Silvio Berlusconi che il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Lo scazzo con i francesi va molto ai là della banale questione degli sbarchi sull’una o sull’altra sponda del Mediterraneo: ha a che fare con quella bestia che è la geopolitica.

Macron, come Berlusconi spera, lavora per una fine della guerra in Ucraina che possa soddisfare la richiesta fondamentale di Vladimir Putin sulla creazione di un nuovo ordine mondiale, dopo quello di Yalta – che assegnò le aree di influenza dei russi e quelle controllate dagli americani – nonché successivo a quello negli accordi di pace tra Michael Gorbaciov, ultimo segretario del partito comunista sovietico da poco sepolto con pochi onori militari e molte nostalgie disperse tra chi lo aveva sostenuto, con il presidente americano Reagan e la prima ministra inglese Margaret Thatcher.

Per Putin è fondamentale che questa suddivisione riconosca il diritto alla nazione russa di imporsi oltre i suoi confini invocando le proprie delicate necessità difensive lungo confini vasti quanto quelli di un intero pianeta e rimettere così la palla al centro trascurando gli eventi sanguinosi dell’ultimo anno, per arrivare finalmente a una nuova suddivisione del mondo divisa per aree di influenza. Anche per questo motivo Draghi aveva accelerato un riavvicinamento verso la Francia in un quadro che vedeva protagonisti anche gli americani di Joe Biden per una conclusione della guerra in Ucraina che permetterebbe di riportare l’Europa ai suoi normali standard di benessere e vitalità.

Giorgia Meloni invece non si sa se per raffinata concezione strategica o per un attacco di nervi ha buttato all’aria tutto facendo salire la tensione col vicino francese ai limiti della rottura. Poi c’è stato il primo Consiglio dei ministri con tre decisioni difficilmente compatibili con l’entusiasmo di Forza Italia: la prima quella sul “rave” che, da legge di contenimento dei danni, ha assunto toni bullisti di natura culturale. Un conto è dire che chi partecipa ai rave non può mettere a ferro e fuoco terreni privati, un altro è legiferare una condanna ideologica nei confronti di chi si esprime come gli pare.

E poi c’è la questione della reintegrazione dei medici che durante il periodo del Covid erano insorti in armi contro la Repubblica varcando il Rubicone di ciò che può essere tollerato e ciò che non deve essere mai tollerato. L’insurrezione contro la Repubblica e le sue leggi è sempre e comunque inaccettabile e in genere la linea ferma in questo senso è stata sempre una caratteristica della destra. Col governo Meloni le cose cambiano e l’insurrezione nei confronti delle leggi dello Stato diventano materia opinabile: sostanzialmente strizzano l’occhio a una massa di cialtroni, tra cui una gran prevalenza di neofascisti, i quali hanno operato attivamente sempre contro l’obbligo vaccinale specialmente quello negli ospedali per i medici.

Ad occuparsene è stata la capogruppo al Senato Licia Ronzulli che, con parole tutt’altro che enfatiche e senza mostrare alcun sentimento di aperto contrasto, ne ha fatto una questione di coscienza e ho detto che lei non voterà mai la trasformazione in legge di un decreto che assolve coloro i quali sono insorti contro le leggi dello Stato. Il tono è stato garbato, i motivi addotti comprensibili, non è scoppiata alcuna rivolta ma il segnale è stato dato insieme a tutti quelli che mirano, seguendo la linea personale di Silvio Berlusconi, al concedere comunque un reddito a chi è povero non importa quale sia il nome prescelto, se il reddito di cittadinanza o di inclusione, ma meglio ancora e più di tutto le pensioni da innalzare costantemente come linea politica generale per chi è povero.

Berlusconi segue una linea di tendenza che è tipica delle correnti conservatrici europee e americane dette in inglese “benevolenti”: si tratta di accogliere le richieste delle fasce povere, strappando questa iniziativa ai Cinque stelle. Il quadro finale è la grande foto nella villa romana di Berlusconi, con i rappresentanti di Forza Italia nel governo, su una terra imbevuta di pioggia. Elogi eloquenti e generici vengono distribuiti molto annacquati agli alleati dell’infrangibile coalizione. Ma, intanto, Forza Italia coltiva spazi visibili e percettibili di indipendenza.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.