«Ho l’impressione che la magistratura ed il suo organo di autogoverno debbano fare ancora tanta strada prima di acquisire una maggiore consapevolezza del valore della dignità della donna nell’ambiente di lavoro e dell’adeguatezza della relativa tutela», aveva detto il professore Mario Serio, difensore della pm antimafia Alessia Sinatra, molestata sessualmente dal procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo a dicembre del 2015 nel corridoio di un albergo romano.

La Sezione disciplinare del Csm, al termine di un procedimento interamente a porte chiuse, aveva condannato Creazzo alla perdita di due mesi di anzianità per aver “leso la propria immagine e il prestigio della magistratura”, assolvendolo invece dall’aver violato “il dovere di correttezza ed equilibrio”, essendo la molestia “un fatto privato”. Anche la magistrata, però, era finita sotto disciplinare per “grave scorrettezza” nei riguardi del collega. La sua “colpa” era quella di aver definito “porco” Creazzo chattando nella primavera del 2019 con Luca Palamara, augurandosi poi che venisse bocciato nella corsa per diventare procuratore di Roma. La notizia della condanna di Creazzo era stata data solo dal Riformista e da pochissimi altri giornali. La grande stampa, infatti, aveva completamente ignorato l’accaduto. Essendo trascorsa una settimana dalla sentenza di condanna di Creazzo, pur non conoscendone le motivazioni, qualche domanda è d’obbligo.

1) Perché della vicenda non parla nessuno? 2) Perché gli scarni comunicati stampa hanno riportato solo le dichiarazioni di Creazzo che si professa innocente? 3) È stata avviata la procedura per il trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale del procuratore di Firenze da parte del Csm? 4) L’Associazione nazionale magistrati e l’Associazione donne magistrato, particolarmente sensibili alle violazioni dei diritti delle colleghe afghane da parte dei talebani, perché non hanno espresso solidarietà alla pm siciliana? 5) Perché il Csm ha sentito l’esigenza di spiegare in un comunicato stampa che l’episodio andava considerato un “fatto privato” fra colleghi? 6) Come mai il Csm, visto che si trattava di un “fatto privato”, non ha punito Creazzo, contraddicendo una consolidata giurisprudenza della Cassazione che pretende sempre la correttezza dei magistrati anche quando non indossano la toga? 7) Perché è stato deciso prima il procedimento nei confronti di Creazzo e non quello nei confronti della pm? 8) Può lo stesso Collegio disciplinare giudicare i due procedimenti basati sugli stessi fatti? 9) In base a quali criteri è stato composto questo Collegio, presieduto direttamente dal vice presidente del Csm David Ermini, e perché era presente una sola donna sui sei componenti? 10) In passato, in procedimenti disciplinari per molestie o violenze sessuali che sanzioni ha applicato il Csm?

Sarebbe importante se qualcuno da Palazzo dei Marescialli, la “casa di vetro” della magistratura, fornisse dei chiarimenti a queste domande. Conoscendo però l’ambiente di piazza Indipendenza si può essere certi che i quesiti rimarranno senza alcuna risposta. L’auspicio è che cali quanto prima l’oblio su questa vicenda. E che anche i pochi giornali che hanno dato la notizia si stanchino di raccontarla, accodandosi a tutti gli altri che hanno deciso di censurarla. Nascondendo i fatti non aumenta certo la fiducia dei cittadini nella magistratura, da tempo in caduta verticale (non per colpa delle trame di Palamara).