Questa leggenda per cui Conte sarebbe caduto solo perché vittima di un complotto, che ha visto la straordinaria partecipazione di attori protagonisti dal prestigio internazionale, rivela una preoccupante decadenza della cultura politica, imprigionata entro metafore e canoni del sospetto che proliferano soprattutto in età populiste. La direzione di Conte era avvertita sicuramente come inadeguata da gran parte del ceto politico ed economico-mediatico che più conta in Italia o in Europa. Ma il fatto che nessuno dei poteri più influenti si sia strappato le vesti dinanzi all’iniziativa di Renzi per la deposizione dell’avvocato rivela la presenza di una sempre più marcata ostilità politica verso la leadership continua, non trascrive certo la scenografia della perfetta cospirazione.

Perché il premier venuto dal nulla era giudicato, ma solo dopo tre lunghi anni di gestione del potere, come una figura non più adeguata? La mutualizzazione del debito è la vera svolta che cambia il modello sociale europeo con embrionali processi di condivisione del bilancio. I costi elevati che il Recovery Fund comporta per i popoli frugali e la loro ideologia del pareggio di bilancio, hanno accelerato le sollecitazioni politiche per una normalizzazione del potere in Italia. Fino a quando il resto dell’Europa non era coinvolto in maniera così rilevante nel coprire gli esborsi finanziari indispensabili alla ripresa post-pandemica, la qualità poco elevata di Conte come statista pescato dall’anonimato rimaneva un affare solo italiano. Non suscitavano reazioni se non private le immagini del surreale colloquio con Angela Merkel nel quale Conte faceva ridere la leader tedesca a seguito della spassosa descrizione del suo ruolo di mediatore assai incisivo entro una maggioranza gialloverde che si diversificava tra gli antitedeschi, gli antifrancesi e gli anti-tutto.

Anche le riprese video del presidente del consiglio che si proponeva come affabile istruttore di biliardo al premier inglese May rientravano nel pittoresco, ma pur sempre si configuravano come una antica faccenda solo italiana. Quando però la destinazione dei fondi per la ricostruzione coinvolge anche i diversi paesi europei, lo scambio tra elargizione dei finanziamenti a fondo perduto e un governo più autorevole diventa una opzione proponibile. Anche gli appetiti delle potenze economico-mediatiche interne si affinano in attesa dell’età dell’oro (intanto si ha lo sblocco di 57 grandi opere per 83 miliardi) e, dopo aver civettato e promosso con le loro risorse il populismo antipolitico, le imprese reclamano competenza, classi dirigenti autorevoli per gestire un allentamento del patto di stabilità. È un processo politico però, non un atto carbonaro a decretare la necessità di archiviare la diarchia Conte-Casalino.

La vicinanza di “Giuseppi” all’amministrazione Trump (e anche a Putin nei tempi del governo gialloverde) può essere stata un fattore di vulnerabilità dopo la conquista della Casa Bianca da parte dei democratici. Ma gli effetti degli avvicendamenti nel cuore dell’ex Impero non sono così immediati e non sono stati loro ad indurre Casalino a sloggiare dal palazzo staccando dal suo studio il ritratto del presidente con i capelli arancione. Cruciale è piuttosto l’opinione maturata tra i partner europei sulla effettiva capacità di gestione delle politiche economiche (deficit all’11 per cento e debito al 160 per cento). Oltre allo storytelling recitato da Conte a villa Pamphili, che reclamava un grazie dall’Europa per aver inventato con il suo genio creativo il modello per salvare le vite umane nella pandemia, era al ministero dell’economia, sorpreso nei suoi foglietti volanti spacciati per rigorosi progetti, che i poteri hanno guardato con i segni di una indisponibilità palese.

Una cultura della redistribuzione sostenuta a debito, una proliferazione in deficit dei bonus (monopattini, rubinetti, biciclette, vacanze), un chiacchiericcio sui rimbalzi che appariva mera improvvisazione, hanno scatenato un forte allarme tra i ceti politici “frugali” dinanzi ai rischi di caduta del consenso interno per via dei cedimenti governativi alle istanze di solidarietà continentale. Serviva ai loro occhi dirottare a un paese mediterraneo risorse per evitare contagi economici globali ma in cambio bisognava avere almeno un governo in grado di gestire un “debito sano” ovvero di ricostruire le basi produttive del capitalismo italiano nel lungo periodo dopo la parabola disastrosa della dottrina Andreatta che con le privatizzazioni come ideologia abbatté l’economia mista.

Questo clima di opinione largamente diffuso a livello europeo, circa l’inaffidabilità della maggioranza traballante e l’inadeguatezza del suo capo esperto solo nell’arte del rinvio e delle comunicazioni al calar della sera, ha minato la credibilità dell’esecutivo. C’è chi accusa persino il Colle di non essersi opposto al rapido cambio della guardia a Palazzo Chigi e anzi di averlo in qualche modo favorito con l’indicazione esplicita secondo cui il voto anticipato era precluso in tempi di pandemia. Il presidente nella sua funzione non può essere (come del resto accadde con Napolitano) insensibile a opinioni, perplessità, rilievi maturati in altri organi istituzionali europei. Ma questo non indica di certo un “golpetto”, un tradimento della sovranità popolare (quale, dopo le spericolate ginnastiche delle alleanze per maggioranze dalle opposte composizioni?), e del principio superiore che reclama la genesi dal basso dei governi (ma il Conte bis non era forse nato anch’esso da una mera operazione di trasformismo parlamentare?).

Lo sfaldamento della maggioranza organica Pd-M5S non è affatto dipeso da una indebita ingerenza del Quirinale nell’arena politica ma dal misero fallimento dell’operazione “responsabili” (sollecitazione di un cambio di casacca di deputati della destra avanzata proprio da chi oggi rivendica l’urgenza di norme antiribaltone). Il carattere troppo “rosso” del governo guidato dal “punto di riferimento dei progressisti europei” non c’entra proprio nulla sul naufragio del contismo. In caso contrario, sarebbero state bombardate a suolo le postazioni, esse sì rosse, che governano la Spagna, il Portogallo.

Così come il Colle, e per ragioni stringenti di carattere istituzionale, non poteva non avvertire umori, pressioni, orientamenti (non solo) europei autorevoli, anche Renzi, nel suo agguato teso a spezzare l’alleanza strutturale del Pd con i cinque stelle, contava di sicuro in discrete verifiche, forse in coperture rilevanti. Questo però si chiama politica, valutazione dei rapporti di forza, o anche, per gli ambiti istituzionali, scrupolosa considerazione della asimmetria nelle relazioni tra Stati entro contesti regionali, non complotto. Chi parla in termini cospirativi, per censurare normali vicende politico-parlamentari, sprigiona gli effetti della dose eccessiva di “fatto quotidiano” che è penetrato del centrosinistra.