Ci sono storie che hanno il potere di mettere a nudo ipocrisia e retorica anche al di là delle vicende personali dei loro singoli protagonisti. La storia di Aboubakar Soumahoro è una di queste. Soumahoro ieri era un eroe, oggi è il “mostro”. Il tritacarne mediatico, inesorabile e spietato, come sempre stritola uomini, esistenze e storie senza curarsi di approfondire, scavare o banalmente di aspettare il giudizio della magistratura. È la clava barbara del giustizialismo che non risparmia nessuno, nemmeno coloro i quali questa clava la conosco benissimo perché, in genere, la brandiscono con ferocia contro i propri avversari.

Ovviamente non sto parlando di Soumahoro, al quale rivolgo la mia solidarietà umana per la gogna preventiva che sta ricevendo e l’auspicio che tutto possa risolversi nel migliore dei modi. Mi riferisco invece a quella sinistra radicale, farisaica e cinica, che prima consacra simboli eterei e poi, alla prima difficoltà, li brucia alla velocità della luce. Un atteggiamento meschino che rivela la cifra umana, prima ancora che politica, di chi lo adotta. Un cortocircuito morale e culturale che procura ferite profonde alla credibilità delle persone ma soprattutto alle battaglie che questi “eroi usa e getta” portavano avanti.

Qualunque sarà l’epilogo di questa vicenda, infatti, la certezza è che da domani i braccianti invisibili saranno ancora più invisibili. La loro causa è infangata, la fiducia compromessa. Eccoli i risultati ottenuti dalla sinistra radicale: un caposaldo costituzionale come il garantismo nuovamente profanato e un danno epocale inferto a quelle donne e a quegli uomini che a parole dicevano di voler difendere.