Il Paese in rivolta contro il governo
Perché gli israeliani protestano contro la riforma della giustizia di Netanyahu
Un Paese intero si è bloccato. È sceso nelle strade, ha riempito le piazze, ha “assediato”, in più di centomila, la Knesset, il parlamento dello Stato ebraico. Alla fine Ben Gvir, capo del partito di ultra destra. ‘Potenza ebraica’, ha detto di essere disponibile a rinviare la riforma della giustizia fino alla ripresa della Knesset, dopo la Pasqua ebraica, a patto che il governo esamini subito la creazione di una Guardia nazionale sotto la guida dello stesso Ben Gvir. Un Paese lacerato dall’interno, come mai era avvenuto nei suoi 75 anni di storia. È la lunga notte d’Israele. E la posta in gioco non è più il ritiro da parte del governo di una contestatissima riforma della giustizia. In gioco c’è la convivenza interna, ci sono le basi stesse dello stato di diritto di quella che, a ragione, continua a ritenersi l’unica democrazia in Medio Oriente.
È la cronaca di uno scontro che va ben al di là della vecchia divisione destra/sinistra. Perché quella che continua ininterrottamente da dodici settimane è una rivolta dal basso che coinvolge tutti i segmenti della società israeliana. Non c’è un settore d’Israele che ieri non sia stato paralizzato dalla protesta. In mattinata, il leader del sindacato dei dipendenti degli aeroporti israeliani Pinchas Idan aveva annunciato l’arresto immediato di tutti i decolli dall’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv. Si tratta, ha spiegato, di una protesta nei confronti della riforma giudiziaria avviata dal governo Netanyahu e contro il licenziamento del ministro della difesa Yoav Gallant. Bloccato da uno sciopero a sorpresa anche il porto commerciale di Ashdod, nel sud di Israele. In mattinata uno sciopero improvviso è stato proclamato anche negli ospedali. Le università hanno annunciato il blocco ad oltranza delle lezioni in quanto, hanno affermato “non ci può essere vita accademica dove non c’è più democrazia”. Chiusi anche numerosi centri commerciali, ed agitazioni fra i dipendenti del ministero della giustizia.
Tra le tante categorie che si sono astenute dal lavoro ci sono anche gli infermieri che hanno deciso di fermarsi: “Chiediamo di fermare la legislazione e avviare un dialogo tra le parti. Lavoriamo tutti insieme per salvare vite umane, indipendentemente dal background di qualsiasi persona, è tempo di agire insieme per la protezione nazionale”. Anche la catena di fast food, McDonald’s, si è unita allo sciopero generale La catena ha twittato che avrebbe iniziato a chiudere i ristoranti dalle 17 ora locale di lunedì. McDonald’s gestisce 226 ristoranti kosher e non kosher in tutto il paese e ha scelto di aderire alla protesta sindacale, contro il governo, che ha coinvolto oltre 800.000 lavoratori. La Borsa di Tel Aviv resterà chiusa oggi. Lo ha annunciato la Federazione del lavoro Histadrut, il principale sindacato israeliano, spiegando che a partire da oggi la borsa di Tel Aviv sarà completamente chiusa.
A dar conto della drammaticità del momento è il capo di stato maggiore delle Idf (le Forze di difesa israeliane) che ha invitato i soldati a continuare a fare il proprio dovere e ad agire con responsabilità di fronte alle aspre divisioni sociali sui piani del governo per rivedere la magistratura. “Quest’ora è diversa da qualsiasi altra che abbiamo conosciuto prima. Non abbiamo conosciuto giorni simili di minacce esterne che si coalizzano, mentre una tempesta si sta preparando a casa”, ha avvertito il tenente generale Herzi Halevi nelle osservazioni rese pubbliche dall’ufficio stampa militare. Anche le ambasciate israeliane nel mondo, compresa quella in Italia, partecipano allo sciopero generale contro la riforma della giustizia. “Il premier può licenziare il ministro, ma non può licenziare la realtà del popolo di Israele che sta resistendo alla follia della maggioranza”, dice il leader dell’opposizione, Yair Lapid. Il riferimento è alla decisione di Netanyahu di licenziare il ministro della Difesa Yoav Galant, contrario alla riforma della giustizia. La tensione è altissima. L’estrema destra si è data appuntamento in piazza, davanti alla Knesset, in serata per manifestare a sostengo della riforma della Giustizia e contro le piazze democratiche.
“I gruppi WhatsApp e i social media di destra sono in fermento”, scrive il quotidiano israeliano Haaretz, “con alcuni attivisti che invitano i sostenitori a prendere le armi – “trattori, pistole, coltelli” – e attaccare i manifestanti anti-governo”. “Basta con lo strapotere della Corte Suprema – si legge in uno degli striscioni della destra. – Riforma subito”. E anche: ‘”Il popolo ha deciso, riforma adesso”. Altri espongono cartelli in cui affermano: “Non vogliamo essere cittadini di serie B”. Un sito ortodosso, che sostiene questa manifestazione, ha scritto: “Chi è col Signore, venga a noi. Non ci faremo rubare la Torah e la nostra sacra Terra”. Alla protesta ha aderito il gruppo “La Familia”, gli ultras della squadra di calcio del Betar Gerusalemme, legati all’estrema destra. “Non intendiamo – minaccia La Familia – farci rubare il risultato delle elezioni”. Centinaia sono vestiti di nero e con il volto coperto. Per evitare scontri e incidenti, molti dei partecipanti alla manifestazione anti-governativa hanno lasciato il piazzale. L’ultradestra corre in soccorso del suo leader, il ministro della Sicurezza interna, Itamar Ben Gvir.
Il leader di Potenza ebraica, dopo ore di frenetiche trattative con Netanyahu, ha detto di essere disponibile a rinviare la riforma fino alla ripresa della Knesset, dopo la Pasqua ebraica, a patto che il governo esamini subito la creazione di una “Guardia nazionale” sotto la guida dello stesso Ben Gvir. Lo riferiscono i media secondo cui Potenza ebraica ha diffuso una lettera con l’impegno in questo senso firmata dal premier Benjamin Netanyahu al termine dell’incontro con Ben Gvir. “Ho accettato di rimuovere il mio veto – ha scritto – in cambio di questo impegno”. Un impegno che rischia di gettare altra benzina sul fuoco di uno scontro senza precedenti. Perché, per la prima volta nella storia d’Israele, un ministro avrebbe la guida di una forza paramilitare indipendente dal ministero della Difesa e fuori dal controllo dell’esercito. Una milizia armata. A tarda sera, in una Gerusalemme militarizzata, alla Knesset prende la parola Benjamin Netanyahu per rivolgere un discorso alla nazione. Teso in volto, interrotto più volte dalle proteste dell’opposizione, “Bibi” annuncia il congelamento della riforma e si appella al popolo: “Siamo tutti fratelli”, dice. Ma Israele è segnato, diviso, da quella che è la più grande protesta politica della sua storia. La lunga notte della democrazia non è finita.
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