Il caso
Perché hanno sciolto per mafia il comune di San Cipirello: senza indagini e con una lettera anonima…

C’è una domanda che risuona nella testa di Vincenzo Geluso, ex sindaco di San Cipirello, paese di 5mila abitanti a pochi chilometri da Palermo, immerso nella valle dello Jato: «Perché il comune è stato sciolto per mafia?». Le motivazioni del provvedimento, firmato nel giugno 2019 dall’ex prefetto del capoluogo siciliano, Antonella De Miro, dovrebbero rispondere al quesito, invece «scaturiscono da una macroscopica falsa rappresentazione della realtà», scrivono gli avvocati Giovanni Puntarello, Sabrina Causa e Salvatore Caputo, difensori di Geluso.
Perché la tempesta che ha travolto i 18 mesi dell’amministrazione targata Geluso sembra inserirsi nel puzzle di un’antimafia di facciata che diventa strumento di potere. Il gioco è sempre lo stesso: trovare collusioni con la mafia anche quando non ci sono, inventare presunte parentele o amicizie pericolose con soggetti legati a Cosa Nostra affidandosi, non a indagini scrupolose, ma ai canali social, dare credito a lettere anonime, trovare la mafia – anche dove non c’è – nell’affidamento dei lavori per la raccolta dei rifiuti o per i servizi sociali. Il tutto per screditare il nemico. Così è stato sciolto il comune di San Cipirello: nessun’indagine, nessun approfondimento.
Per raccontare questa storia bisogna partire dal clima, pesante, che si respira durante le elezioni amministrative del giugno 2017. I candidati a sindaco sono due: Geluso e Giovanni Casamento, imprenditore e presidente provinciale della Cna. Casamento ha sempre orbitato nell’area del centrosinistra, tesserato del circolo del Pd, è molto vicino all’area del senatore Beppe Lumia, ex presidente della Commissione Antimafia, tra i principali sponsor dell’ex leader di Confindustria Sicilia Antonello Montante, paladino di quell’antimafia finita poi nella polvere. Il cui sistema, come evidenziato dalla commissione antimafia all’Ars presieduta da Claudio Fava, ha diverse analogie col ciclo dei rifiuti in Sicilia nel quale gli scioglimenti per mafia di alcuni comuni sarebbero stati pilotati per favorire la gestione delle discariche a ditte private – in particolar modo quella dei Catanzaro, molto vicini a Montante – contro le quali le amministrazioni avevano espresso posizioni durissime. Casamento in una conversazione presso gli uffici della Cantina Sociale dell’Alto Belice, rivolgendosi a Giovanni Randazzo – che all’esito della competizione elettorale ha ricoperto la carica di presidente del consiglio comunale – dice: “Geluso non può diventare sindaco”.
Lasciando intendere che, se Geluso fosse stato eletto, si sarebbe attivato per far sciogliere il consiglio comunale per mafia. «Ogni due mesi siedo ai tavoli in prefettura – aggiunge – con il comandante della finanza, col prefetto, con i carabinieri». Forse un avvertimento. Casamento esce sconfitto dalla competizione elettorale e un anno e mezzo dopo San Cipirello viene sciolto per mafia. In mezzo, ad avvelenare il clima, ci sono minacce e lettere anonime tese a delegittimare Geluso e la sua compagine. Missive senza firma, ma l’autore sarà poi rivelato da Claudia Pullarà, dipendente di Giuseppe Crociata, fratello del consigliere Antonio Crociata: «Giuseppe Crociata – ha detto Pullarà – mi diceva che aveva intenzione di screditare l’operato politico di Geluso e, per tale ragione, provvedeva a scrivere e spedire la lettera anonima».
Le continue denunce e una campagna di stampa, basata molto spesso su fatti inventati a cui non seguono, inspiegabilmente, indagini da parte delle forze dell’ordine, accendono i fari su San Cipirello. E il 20 novembre 2018 s’insedia la commissione prefettizia. A giugno 2019 il comune viene sciolto. Secondo la prefettura sono «concreti, univoci e rilevanti i collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso» ovvero «forme di condizionamento degli stessi sugli amministratori», da incidere sul corretto funzionamento dell’ente. Quali sarebbero tali collegamenti? In realtà la relazione prefettizia ricalca in larga parte i contenuti delle lettere anonime, senza adeguate indagini, e riporta interi pezzi di alcuni articoli usciti su testate locali. Si parla di presunti rapporti di parentela con soggetti legati alla mafia come dimostrazione di una collusione; di un sostegno della mafia locale, durante la campagna elettorale, a Geluso per alcuni like o commenti sui social considerati espressione di un sodalizio criminale; di lavori affidati ad imprese ritenute in odor di mafia ma che, invece, al tempo dell’amministrazione Geluso, erano regolarmente iscritte alla white list della prefettura e delle quali la stessa commissione prefettizia, poi, si è servita durante il periodo del commissariamento e di varie irregolarità nell’affidamento della raccolta rifiuti.
Questa è l’architettura delle accuse mosse all’amministrazione, smontata pezzo per pezzo dai legali dell’ex sindaco in una corposa e dettagliata memoria difensiva che il tribunale di Palermo ha liquidato con una sentenza di 19 pagine definendo, lo scorso ottobre, Geluso e due assessori della sua giunta, Floriana Russo e Giuseppe Clesi, incandidabili. I giudici della prima sezione civile hanno però riportato, senza aggiungere ulteriori motivazioni, quanto elaborato dalla commissione prefettizia inciampando, anche loro, in grossolani errori. Uno su tutti: all’imprenditore partinicese Giuseppe Gaglio – presidente della cooperativa Cosam Totus Tuus, associata alla cooperativa Nido d’argento a cui l’amministrazione Geluso avrebbe affidato irregolarmente un servizio – è stata affibbiata una parentela del tutto inesistente con Ignazio Bruno, boss di San Giuseppe Jato.
Perché questo errore? I legali di Geluso hanno già presentato ricorso alla Corte d’appello. «Non ho mai avuto rapporti con la mafia, non sono mai stato condizionato da nessuno. Ma forse – ha detto l’ex sindaco – ero scomodo a qualcuno perché a San Cipirello, con la mia giunta, sarei stato portatore di un cambiamento. Sicuramente ho peccato di ingenuità, ho commesso degli errori che sono stati usati strumentalmente da chi voleva farmi fuori. Ora voglio solo la verità e lotterò fino alla fine per averla. Sullo sfondo rimane la domanda: «Perché San Cipirello è stato sciolto per mafia?».
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