“Bambini e giovani sotto i 20 anni, oltre ad essere molto spesso asintomatici, si stima che abbiano una suscettibilità all’infezione pari a circa la metà rispetto a chi ha più di 20 anni”. E’ questo il dato che si legge sul sito ufficiale del Ministero della Salute citando uno studio pubblicato su Nature Medicine. La ricerca ha sviluppato modelli di trasmissione del Covid-19 nei più piccoli sulla base di dati provenienti da sei paesi, inclusa l’Italia. Secondo gli studiosi, dunque, risulta improbabile che i bambini più piccoli diffondano il virus, ma i bambini più grandi sono più a rischio. “La suscettibilità variabile per età all’infezione da Sars-CoV-2, in cui i bambini sono meno suscettibili degli adulti a contrarre l’infezione a contatto con una persona infettiva, ridurrebbe i casi tra i bambini”, si legge nella ricerca scientifica.

I dati dello studio renderebbero così la scuola come punto meno caldo per la diffusione del coronavirus, nonostante le iniziali remore alla riapertura di istituti scolastici e asili nido. “Quando si verificano focolai, per lo più provocano solo un piccolo numero positivi”, specifica la ricerca, in particolare quando vengono adottate precauzioni per ridurre la trasmissione. Tuttavia, i dati mostrano anche che i bambini possono contrarre il virus e diffondere particelle virali, e i più grandi hanno maggiori probabilità rispetto ai bimbi molto piccoli di trasmetterlo ad altri. Secondo Walter Haas, epidemiologo di malattie infettive presso il Robert Koch Institute di Berlino, “a livello globale le infezioni sono ancora molto più basse tra i bambini che tra gli adulti”. 

APERTE SCUOLE INFANZIA E PRIMARIE – L’ultimo Dpcm del 4 novembre ha avvalorato i dati secondo cui i bambini al di sotto della fascia d’età compresa tra i 0-6 anni abbiano meno probabilità di contagiarsi. Infatti, il decreto ha confermato la didattica a distanza per le scuole secondarie di primo e secondo grado, a fronte di una didattica in presenza per i più piccoli frequentanti dall’asilo nido alle scuole elementari. Anche per quanto riguarda l’uso delle mascherine e dell’obbligo di distanziamento sociale, la specifica dell’ultima circolare del ministero dell’Istruzione chiarisce che fanno eccezione “i bambini di età inferiore ai 6 anni e i soggetti con patologie o disabilità incompatibili con l’ uso della mascherina”. Ma “a partire dalla scuola primaria, la mascherina dovrà essere indossata sempre da chiunque sia presente a scuola, anche quando gli alunni sono seduti al banco e indipendentemente dalle condizioni di distanza”.

LO STUDIO – I risultati prodotti dalla ricerca sulla base dei dati epidemici provenienti da Cina, Italia, Giappone, Singapore, Canada e Corea del Sud evidenziano come “la pandemia Covid-19 abbia mostrato una percentuale notevolmente bassa di casi tra i bambini”. Le disparità di età nei casi osservati potrebbero essere spiegate dai bambini che hanno una minore suscettibilità alle infezioni, una minore propensione a mostrare sintomi clinici o entrambi. Per questo il gruppo di studio ritiene che “gli interventi rivolti ai bambini potrebbero avere un impatto relativamente piccolo sulla riduzione della trasmissione del nuovo Coronavirus, in particolare se la trasmissibilità delle infezioni subcliniche è bassa”. 

Per quanto riguarda la situazione italiana su Nature, infatti, si legge che “più di  65.000 scuole in Italia hanno riaperto a settembre, ma solo 1.212 strutture avevano sperimentato focolai 4  settimane dopo. Nel 93% dei casi è stata segnalata una sola infezione  e solo una scuola superiore aveva un cluster di oltre 10 persone infette”. I ricercatori sospettano che uno dei motivi per cui le scuole non sono diventate punti caldi della trasmissione è che “i bambini, specialmente quelli sotto i 12-14 anni, sono meno suscettibili alle infezioni  rispetto agli adulti”, secondo una meta-analisi di diversi studi sulla  prevalenza del virus. Inoltre, ulteriori dati evidenzierebbero come una volta infettati, i bambini piccoli tra 0 e 5 anni hanno meno probabilità di trasmettere il virus ad altri.

Il team del dottor Haas ha oltremodo scoperto che le infezioni erano meno comuni anche nei bambini tra 6 e 10 anni rispetto ai più grandi e al personale scolastico. Dunque, “il potenziale di trasmissione aumenta con l’età e gli adolescenti hanno la stessa probabilità di trasmettere il virus degli adulti. Adolescenti e insegnanti dovrebbero essere protagonisti di misure di mitigazione, come indossare mascherine o tornare alla didattica a distanza quando la trasmissione nella comunità è alta”. Dunque la frazione clinica della ricerca specifica per età e le stime di suscettibilità che implicazioni hanno per il carico globale della diffusione del Covid-19, come risultato delle differenze demografiche tra le impostazioni.

Nei paesi con strutture di popolazione più giovani, come molti paesi a basso reddito, “l’incidenza pro-capite prevista dei casi clinici sarebbe inferiore rispetto ai paesi con strutture di popolazione più anziane, sebbene sia probabile che le comorbidità nei paesi a basso reddito influenzeranno anche la gravità della malattia”. Ciò si traduce nel fatto che senza misure di controllo efficaci, le regioni con popolazioni relativamente più anziane potrebbero vedere un numero sproporzionato di casi di Covid-19, “in particolare nelle fasi successive di un’epidemia non mitigata”. La distribuzione specifica per età dell’infezione clinica che il team di ricerca ha rilevato è simile nella forma a quella generalmente assunta per l’influenza pandemica, ma la suscettibilità specifica per età è invertita. Queste differenze hanno un grande effetto sull’efficacia della chiusura delle scuole nel limitare la trasmissione, ritardare il picco dei casi attesi e diminuire il numero totale e massimo di casi. Dunque, in relazione al Covid-19, “è probabile che la chiusura delle scuole sia molto meno efficace rispetto alle infezioni simil-influenzali”.

Gli studiosi specificano che una minore suscettibilità potrebbe derivare da una protezione crociata immunitaria da altri coronavirus o da una protezione non specifica derivante da recenti infezioni da altri virus respiratori, che i bambini sperimentano più frequentemente degli adulti. “L’evidenza diretta di una ridotta suscettibilità alla Sars-CoV-2 nei bambini è stata mista, ma se fosse vera potrebbe comportare una trasmissione inferiore nella popolazione complessiva”, si legge nel rapporto. Questo testimonierebbe come “le differenze nei modelli di contatto tra individui di età diverse e le differenze specifiche del contesto nella distribuzione per età influenzino esse stesse il numero previsto di casi in ciascun gruppo di età”. I bambini tendono a stabilire più contatti sociali rispetto agli adulti e quindi, a parità di condizioni, dovrebbero contribuire maggiormente alla trasmissione rispetto agli adulti. Se il numero di infezioni o casi dipende fortemente dal ruolo dei bambini, i paesi con diverse distribuzioni di età potrebbero mostrare profili epidemici sostanzialmente diversi e l’impatto complessivo delle epidemie di Covid-19.