Il mondo dello sport a livello mondiale è in subbuglio per la turbolenza del mercato dei diritti tv. Da almeno un quinquennio è chiaro che la fase espansiva e di crescita dei valori è finita ed è scattato il si salvi chi può. Prendete la lega più ricca, la Premier League inglese: nel 2016 vide crescere del 70% il valore pagato dalle tv per aggiudicarsi il 44% delle partite da trasmettere sul territorio inglese. I cicli successivi, nonostante un numero crescente di partite offerte nei pacchetti, non hanno mai garantito lo stesso prezzo medio a partita. E la Lega ha dovuto correre ai ripari, concentrandosi ad esempio sui mercati internazionali, e diventando così lo scorso anno la prima lega calcistica al mondo capace di incassare più dalle tv fuori dal proprio territorio domestico che da quelle di casa.

La crisi è dominata dall’incertezza

Ma il segnale di una certa maturità del mercato e della fine del ciclo espansivo è evidente, e deve essere presa in considerazione in tutto il mondo, perché i mercati liberisti sono piramidi ed i piccoli da sempre ne sentono gli effetti a cascata, in maniera proporzionale. Il Covid c’entra poco, anzi, forse in questo caso vale l’esatto opposto: la pandemia dopo lo stop iniziale ha imposto le porte chiuse, ma il business televisivo non pare essersi giovato della sopravvenuta esclusività. Ed ecco allora che nell’estate 2024 dallo sport americano alla nostra Serie B, le leghe a tutti i livelli affrontano una crisi che come tutte le crisi è dominata dall’incertezza, e dove quel che era vero ieri potrebbe non essere confermato domani.

La serie A non decolla all’estero

Prendete la Serie A: il campionato è iniziato con un nuovo accordo tra la Lega, Dazn (che trasmette tutte le partite) e Sky (tre partite a settimana in co-esclusiva) in cui il miliardo di valore auspicato dai venditori (i club) non è stato raggiunto e l’accordo che vale un centinaio di milioni garantiti in meno viene descritto come soddisfacente o meno a seconda dei punti di vista. Intanto non decolla il mercato internazionale, ovvero la commercializzazione dei diritti fuori dai confini italici. Di riflesso anche la Serie B non ha migliorato le proprie posizioni: si è accordata con Dazn, approderà a metà settembre su Amazon, ma nel frattempo non ha chiuso con Sky e sta mettendo in piedi il proprio “Canale di Lega”. Con questa espressione da sempre si identifica l’iniziativa autonoma di un campionato ad autoprodursi (anche attraverso la mediazione) e poi vendere le partite direttamente ai tifosi.

La serie B e il modello iFollow in Inghilterra: 10 sterline a partita

La scommessa della Serie B è coraggiosa e interessante quanto inevitabile, stante il mercato, e di certo fornirà un quadro chiaro su quelle che sono le reali potenzialità per un prodotto di nicchia come quello del campionato italiano di secondo livello. In Inghilterra le leghe similari hanno una loro autoproduzione da poco meno di 10 anni, si chiama iFollow e fa pagare le partite 10 sterline l’una, praticamente un biglietto stadio, difficile pensare a prezzi simili altrove. Ma i costi esistono e vanno in qualche modo coperti. Finora, e qui sta il nodo irrisolto, i Canali autoprodotti non hanno portato grande fortuna. Ci ha provato la Ligue 1 francese nel post-Covid, ma non è arrivata nemmeno a fine stagione, ricordando un’esperienza italiana analoga: la piattaforma Gioco Calcio che non riuscì nemmeno a tagliare il panettone nel 2003, quando i piccoli club si consorziarono rivendicando che da soli avrebbero incassato più che dalle tv (ai tempi i diritti venivano venduti individualmente, solo nel 2010 si passò in Italia alla vendita collettiva).

La crisi della Ligue 1

Nel frattempo la Ligue 1 ha subito un accordo nettamente al ribasso con Dazn e fatica al punto che il campionato rischia di essere declassato: negli ultimi anni si parlava di Big5 ovvero i 5 campionati europei più rilevanti, ma la Francia per dimensione e mercato in questo senso somiglia più a Belgio, Olanda e Portogallo che a Italia, Germania e Spagna, considerando che l’Inghilterra fa gara a sé. Onestamente c’è poco da fare, anche perché nel resto del mondo le cose non vanno diversamente. La Premier League ha vissuto in un limbo operativo per almeno due anni quando dopo le dimissioni del Ceo Richard Scudamore si cercò un nuovo amministratore nel mondo delle tv. Il progetto era quello dell’autoproduzione ma almeno due candidati forti si bruciarono prima che Richard Masters (attualmente al comando) venisse confermato dalla sua carica ad interim. Se non ce la fanno loro chi ce la può fare?

L’autoproduzione deve convivere con broadcaster, vere galline da uova d’oro

Lo stesso vale per l’Nba americana: il campionato di basket ha una sua piattaforma streaming, ma non può prescindere dagli accordi regionali che garantiscono tantissimi soldi. Ed allora se vivete negli Usa la vostra squadra non la vedete attraverso le tv che si sono comprate l’esclusiva subendo il blocco geografico della piattaforma streaming. Questo per dire che per tutti l’autoproduzione è un’opzione non alternativa agli accordi coi broadcaster, vere galline dalle uova d’oro che finanziano il sistema. La stessa Nba, poi, deve far fronte al fallimento di Diamond Sports Group che produceva i canali Bally Sports e deteneva molti diritti locali delle franchigie. E nel frattempo un’altra piattaforma (Fubo TV) che aggrega i canali sportivi americani, è in causa contro l’operazione che Disney e Warner Bros stavano portando avanti per fare fronte comune e creare una loro piattaforma indipendente che facesse incetta di diritti sportivi.

La mancanza di visione

Come spesso accade, nel mondo dei media in particolare, gli Usa sono un termometro affidabile per capire cosa succederà in Europa. In Italia oltre al fallimento di Gioco Calcio ci fu la fusione Stream – Telepiù a cavallo col nuovo millennio e recentemente ci ha lasciati Helbiz, la piattaforma che aveva commercializzato la Serie B nello scorso triennio. Non ci facciamo mancare nulla. Per Roger Mitchell, ex Ceo della Lega scozzese ed oggi consulente di stanza a Como a coronamento di una carriera tra sport e media, il problema è una sorta di peccato originale, quello di non aver scelto l’autoproduzione fin dal primo giorno. Ovvero quando, non essendoci ancora ricavi cospicui, era possibile investire e guardare al lungo periodo senza andare in sofferenza finanziaria a causa di mancati ricavi.

È mancata una visione, innegabile, e forse oggi è tardi per recuperare: non resta che guardare con interesse alle operazioni di autoproduzione, senza dimenticare mai il mantra della sostenibilità, che ovunque si guardi appare come inevitabile. Del resto quel che è chiaro è che il sistema calcio, per come lo abbiamo conosciuto, è un retaggio del secolo scorso destinato a cambiare radicalmente. Oggi si resiste, ma il futuro è segnato e somiglia molto più allo sport americano che a quello che in Europa ci stiamo lasciando alle spalle.