Cosa sta accadendo alC? In passato la struttura del sistema creditizio e dei suoi assetti proprietari erano parte integrante del sistema industriale e entravano nel dibattito politico e nelle strategie di politica economica. Non è più così. Oggi il piano di ristrutturazione del secondo gruppo bancario che prevede più di seimila esuberi è vissuto, ad esempio, come il problema di quei seimila “esuberi”. Ma quali gli effetti di quella ristrutturazione sulle imprese e sui risparmiatori?

La finanza internazionale lavora affinché in Italia la costruzione di un solido oligopolio bancario, con la rilevante partecipazione dei fondi esteri, venga portata rapidamente a compimento. Ma per l’economia italiana, incentrata sulla piccola e media imprenditorialità, è un bene o un male? Quando quel progetto sarà completato, le piccole e medie imprese non avranno più il problema del costo del credito ma quello, ben più grande, della stessa possibilità di accedervi. Finanziare le Pmi, così come raccogliere il piccolo risparmio, non avrà più alcun interesse per i colossi bancari proiettati essenzialmente sull’attività finanziaria. Del resto la politica monetaria di bassi tassi di interesse (politica che continua malgrado effetti inesistenti sulla ripresa) è una scelta strategica che invoglia i grandi istituti bancari a rifornirsi di liquidità direttamente dalle banche centrali e a considerare di scarso interesse la raccolta tradizionale di risparmio sul territorio preferendo le più redditizie gestioni. La raccolta, gli impieghi e il credito diventano così poco remunerativi rispetto all’intermediazione finanziaria.

Se a questo si aggiunge che le banche sono costrette ad accantonamenti elevatissimi sui crediti concessi e a disfarsi rapidamente di tutte le problematicità (Npl), nel futuro oligopolio non ci sarà posto per la banca che raccoglie il risparmio per metterlo a disposizione di chi ne ha bisogno per la propria attività imprenditoriale e, così facendo, realizza un circolo virtuoso di crescita economica e di allargamento generalizzato del benessere. Un sistema fatto di pochi colossi bancari non tiene poi conto di un altro fattore non marginale. Al centro dell’agenda delle politiche della Banca centrale europea è entrato prepotentemente il tema della “sostenibilità” ambientale e dei cambiamenti climatici. Christine Lagarde, ne ha fatto un tratto caratterizzante della sua presidenza.

Il programma dell’Onu è “L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” per le persone, il pianeta e la prosperità che pone 17 obiettivi articolati in 169 traguardi da raggiungere entro il 2030. Ora la sostenibilità che significa anche economia reale, tutela del tessuto sociale, responsabilità e centralità dei territori è un tratto caratterizzante di quelle banche del Credito popolare che l’oligopolio cancellerebbe e che invece può svolgere un ruolo che gli è connaturato soprattutto grazie al fatto che la propria attività è rivolta prioritariamente alle famiglie e alle imprese piccole e medie destinate, in un sistema monolitico, all’esclusione dal credito.

I fattori costitutivi e identitari della prossimità di queste istituzioni le rendono soggetti insostituibili per ogni “politica sulla sostenibilità” produttiva perché in grado di declinare e orientare con efficacia la propria tradizionale attività di raccolta del risparmio e di impiego delle risorse direttamente nelle aree dove tali risorse vengono generate. Nel pensare e nel progettare un sistema bancario che faccia propria la sostenibilità e che renda ancora possibile il credito alle Pmi, basterebbe guardare agli Stati Uniti, al Canada, o, più vicino, a Francia e Germania. In questi Paesi i grandi gruppi bancari esistono accanto a banche diverse e più legate al territorio che possono garantire il credito a coloro che altrimenti ne sarebbero esclusi e possono contribuire a indirizzare la trasformazione del sistema economico nel solco della sostenibilità. Si chiama biodiversità del sistema bancario. Ma qualcuno ha ancora voglia di pensare e di progettare?