In una campagna elettorale combattuta sul filo del rasoio, come quella che gli Stati Uniti stanno vivendo oggi, tutto può fare la differenza, soprattutto nei cosiddetti “swing state” in cui entrambi i candidati si giocano l’accesso allo “Studio Ovale per una manciata di voti da conquistare in queste ultime settimane.

In questi 24 giorni oltre a battere ogni anfratto delle aree in bilico, entrambe le campagne dovranno preservare l’immagine dei candidati, evitando che qualche scoop possa danneggiarli. Per questo la campagna di Trump non ha gradito l’uscita del controverso The Apprentice – Alle origini di Trump di Ali Abbasi, che ha debuttato al 71° Festival del Cinema di Cannes il 20 maggio di quest’anno, suscitando già le prime polemiche. Il portavoce della campagna di Trump Steven Cheung ha bollato la pellicola come “pura diffamazione” e aggiungendo che “non dovrebbe vedere la luce”. Che fosse destinata a suscitare non poche polemiche lo si era intuito già in fase di post-produzione, quando il coproduttore Daniel Snyder, imprenditore e finanziatore di Trump, ha dato vita a un contenzioso ritenendo che il film fosse stato concepito per mettere in cattiva luce l’ex Presidente.

“L’interferenza di Hollywood” nella campagna elettorale

Se per la campagna di Trump questa è la prova evidente “dell’interferenza di Hollywood nella campagna elettorale”, per il regista Abbasi non è un film su Trump, ma un “film sul sistema e su come funziona il sistema”. Di certo la concomitanza tra l’uscita negli Stati Uniti e la campagna elettorale non aiuta una certa distensione dei toni. Non che la pellicola racconti il Trump presidente, o il politico, ma l’ascesa dell’imprenditore che muove i suoi primi passi nella New York degli anni Settanta, cercando di uscire dall’ombra del padre alle vette della Grande Mela e del suo cuore Manhattan.

Il futuro tycoon e la bestia nera…

Il film gioca sul rapporto tra il futuro tycoon e il suo avvocato e mentore Roy Cohn, bestia nera della stampa liberal americana, per il suo passato da braccio destro del senatore Joseph McCarthy al tempo del maccartismo e viceprocuratore federale nel processo contro i coniugi Rosenberg, accusati e poi condannati per spionaggio in favore dell’Unione Sovietica.

Negli anni, come avvocato, la sua ombra ha contribuito a costruire la leggenda nera che ancora oggi avvolge un personaggio la cui biografia ha finito per varcare i confini degli Stati Uniti con la discesa in politica di Trump e alla serie targata Netflix su Roger Stone. Per la sua condotta oltre i limiti, nonostante il proscioglimento da varie accuse, fu poi radiato dalla Corte Suprema dello stato di New York per “cattiva condotta professionale”. Cohn secondo la leggenda è il mentore, l’uomo che ha ispirato e creato il Donald Trump che di lì a pochi anni avrebbe scalato il successo come imprenditore e showman, gettando le basi per la sua discesa in campo politico.

Ad allarmare lo staff di Trump, non è la leggenda nera in un’America polarizzata – e poi si sa, può anche giovare alla causa – ma la controversa scena del presunto stupro compiuto da Trump ai danni della prima moglie Ivana Zelníčková, accusa prima lanciata dalla stessa nella causa di divorzio nel 1989 e poi ritirata nel 2015. Una scena che potrebbe alienare all’ex Presidente l’elettorato femminile e non solo.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.