Tre giorni fa: “Il debito pubblico ingente ci espone molto più di altri e ridurre l’enorme fardello del debito è una precisa volontà del Governo”. Parola del ministro Adolfo Urso, l’ultimo di una lunghissima serie di uomini di governo impegnati, se non al raggiungimento del pareggio di bilancio, almeno in un contenimento del debito pubblico.

Del resto, il pareggio di bilancio, in Italia, è una chimera. Mai raggiunto negli ultimi centoquarantasette anni. Mussolini, nel 1924, in cerca di prestiti per rilanciare un’economia asfittica e ridurre un’imponente disoccupazione, il pareggio se lo inventò. Gli americani erano stati chiari con lui. Non avendo ancora riscosso i crediti maturati durante la Grande Guerra (senza i dollari Usa prestati alle potenze della Triplice Intesa chissà che piega avrebbe preso il conflitto) ed essendo in via di scomparsa il pericolo bolscevico, si doveva toccare con mano la capacità di un Paese a restituire i prestiti ottenuti. Dunque, bilancio in pareggio. L’Italia del tempo contava oltre due miliardi di buco, il che rendeva ardui impegni finanziari d’Oltreoceano di lunga durata. Il Duce, o chi per lui, fece avere a Vittorio Emanuele III un bilancio fasullo, proprio il bilancio che il re lesse in apertura della legislatura, nel maggio del 1924, di fronte alle Camere riunite.

Fu Matteotti ad accorgersi della menzogna. Era stato relatore di minoranza sul bilancio dello Stato dal 1919, conosceva alla perfezione entrate e uscite. Avrebbe tirato fuori le carte del grande falso nella seduta dell’11 giugno. Fu rapito e ucciso il giorno precedente. Nella cartella, scomparsa, conservava le prove della falsificazione. Non ricordo altri tentativi del genere, così pacchiani da apparire inverosimili. Ricordo invece l’unico caso in cui il bilancio dello Stato raggiunse davvero il pareggio, merito di Quintino Sella, ministro delle finanze dal 1864 al 1875, soprannominato ‘ministro delle mani nette’. Sella riordinò il sistema fiscale adottando il modello impositivo unico e risanò il deficit provocato dalle guerre d’indipendenza. La vera innovazione fu l’imposta sulla ricchezza mobile, la madre della dichiarazione dei redditi. Ogni cittadino doveva dichiarare tutti i redditi percepiti, non solo quelli fondiari. Una rivoluzione. E poi riordino delle imposte dazi e consumi, dei monopoli fiscali, vendita beni demaniali non destinati a uso pubblico, alienazione di alcuni beni ecclesiastici. Nel 1876 il presidente del consiglio Marco Minghetti dichiarò che l’obiettivo era stato raggiunto. Va sottolineato: a soli quindici anni dalla nascita dell’Italia unita che aveva ereditato bilanci in rosso da nord a sud. In conclusione rammento la previsione fatta dal presidente Conte nel 2018, proprio all’inizio del suo mandato. Eccola: ‘Il pareggio di bilancio in termini strutturali verrà raggiunto gradualmente negli anni a seguire’. Quel ‘gradualmente’ va tradotto in ‘lentamente’. Anche il suo Governo, infatti, non contribuì nemmeno marginalmente al risanamento delle nostre finanze.