Entrambi, Putin e Xi Jinping, adorano invertire la i capisaldi della mentalità anglosassone. Quindi nessuna delle loro parole tutte utili ma prevedibili, ha per ora aperto uno spiraglio sull’unico tema che fa trattenere il fiato al mondo: con quale genere di accordo le due parti combattenti potrebbero accettare di deporre i fucili? Era indispensabile ripartire da questo punto apparentemente inconcludente, perché bisogna anche dire che nessuno se lo aspettava.

La Cina fino a pochi giorni fa era apparsa non come un possibile mediatore ma come un possibile fornitore di armi alla Russia, cosa che non poteva in alcun modo coincidere con l’altro mestiere, quello del mediatore. Quindi Xi ha dovuto compiere un primo passaggio per modificare la sua stessa immagine, quella della sua stessa figura e del Paese che governa, come un amico di un contendente, ma al tempo stesso portatore di regole con non sono affatto quelle di Vladimir Putin. Tutto noto, per carità, si sapeva e i due hanno avuto l’aria persino sorniona di chi sa di dover depositare pesanti e polverosi atti nella cancelleria immaginaria delle trattative, prima di poter cominciare a fare sul serio.

Ieri, ancora, non si faceva sul serio, ma si annusava l’aria e si disegnava un immaginario perimetro: quello di un nuovo mondo in cui Cina e Russia avrebbero finalmente avuto il ruolo che gli spetta da sempre. Xi non giudica: architetta e mette sulla tavola alcuni modellini accurati di futuro possibile in cui, di passaggio, entra la vicenda dell’invasione russa in Ucraina. Per prima cosa, dovendo affrontare la chiusura della guerra in Ucraina, hanno parlato lungamente e in modo disteso, dello stato dell‘universo e del senso della storia. E del fatto che gli americani non abbiano più titoli, se mai ne hanno avuti, per dettare legge e dare le carte. Come si sa, Vladimir Putin assunse l’atteggiamento violentemente antiamericano che poi lo ha spinto ad assumere le posizioni di oggi, in seguito alla guerra di George W. Bush in Iraq, una guerra che considerò una offesa personale.

Fino a quel momento era stato molto elastico, poi ha cominciato a dire la sua, in merito a chi possa e chi non possa dettar legge: non più gli americani – e su questo c’è una consolidata convergenza – ma gli altri. «Io e il popolo russo siamo molto ammirati dagli indubbi e clamorosi progressi del popolo cinese», ha detto a un certo punto Vladimir Putin che stranamente appariva molto rilassato, un po’ troppo a casa sua. Era per dire: voi ormai siete il grande polo tecnologico quasi indipendente dall’America e noi con un pizzico d’ammirazione e anche di invidia vi riconosciamo questo primato, visto che noi russi ci siamo dedicati soltanto al commercio delle materie prima. Xi Jinping ha gradito il complimento ma è difficile stabilire se abbia sorriso. Ha una piega permanente agli angoli della bocca e la sua espressione ed umore vanno dedotti dal suo sguardo.

Il leader cinese ha risposto a Putin in modo caldo ma generico: finora le due grandi nazioni non hanno ritenuto di costruire un grande partenariato e non dimenticano di essere state per decenni sull’orlo di una guerra guerreggiata lungo le rive del fiume Ussuri. Se la partnership ci sarà, dovrà cominciare adesso e non solo con chiacchiere e strette di mano ma con impianti capaci di trasportare l’energia lungo un Paese come la Russia che ha undici fusi orari, con una superfice pari a un settimo delle terre emerse. Il gas russo va per mare in India dove lo raffinano e poi lo vendono a chiunque, cinesi, australiani ed europei che comprando prodotti raffinati come benzina o nafta non chiedono da quale greggio provengano, ma sanno perfettamente che è russo ed è per questo che la Russia ha guadagnato un bel surplus malgrado le sanzioni. Quanto al gas siamo ancora ad un unico gasdotto e per farne un secondo ci vogliono anni. Ma la Cina ha ottime armi e in grande numero e crea tecnologia sia civile che militare, cosa cui i russi non hanno dedicato molto tempo.

Quindi, al di là delle affermazioni di grande amicizia anche personale, Putin ha detto in pratica: “ci piacerebbe disporre della vostra tecnologia” e Xi ha risposto che “i tempi non sono ancora maturi”. Di invio di armi cinesi alla Russia, il grande spettro del fronte americano, per ora non un cenno. L’altro tema che sta a cuore ad entrambi ed è l’unica cosa che li unisce realmente, è il principio della nuova pluralità dei poli del mondo, che è un modo per dire all’America “tu non sei più il polo di riferimento”. Tutti i politici e i cronisti e gli interpreti e gli analisti del mondo da ieri sono allertati sulla difficoltà dell’analisi del colloquio fra i vertici di Russia e Cina, ma sanno anche che c’è una partita e un rituale che devono essere giocati e svolti nel modo che è congeniale a questi due partner. Xi ha sempre detto che lui detesta la democrazia perché come forma di convivenza è nettamente inferiore e più barbarica della armonia.

Vladimir Putin e più ancora il suo partner Medvedev sono convinti che tutto ciò che è occidentale, europeo e americano costituisce il male del mondo e che staremmo tutti meglio senza. Il punto concreto che interessa i protagonisti della guerra è uno solo: se la Russia debba mantenere come acquisiti tutti o una parte dei territori che ha fino ad ora conquistato con le armi e la violenza. Poi c’è il partito di chi ritiene che non si debba mettere in dubbio la legittimità della conquista della Crimea ma semmai si possa discutere su una equa distribuzione dalle terre russe o russofone del Donbass e delle altre zone per ora sotto occupazione di Mosca. Ma la logica è quella del tertium non datur: o lasci o prendi ma non tutte e due le cose insieme.

Messa così noi verrebbe fuori una tavola apparecchiata soltanto per due. Il presidente cinese e quello russo si danno ragione a vicenda ma Xi esalta un po’ più del russo dei principi che considera elevati e maturi come quello dell’assoluto divieto di portare le armi in casa altrui e l’altro dell’assoluto divieto dell’uso di qualsiasi arma nucleare. Ma per poter essere credibile – e da amico di Putin – ammette senz’altro che questi suoi principi contengono delle possibilità di adattamento perché se si dice che le forze armate russe sono entrate illegalmente e non hanno diritto di stare dove sono l’unica forma di pace sarebbe quella che reclamano sia Zelensky che gli americani: prima di tutto la Russia ritiri le sue truppe fino all’ultimo uomo e poi discutiamo di pace.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.