La guerra ibrida
“Perché Kiev non può entrare nella Nato”, intervista a Franco Angioni
“Una sporca guerra che l’uomo che l’ha scatenata non ha neanche voluto dichiarare, contravvenendo anche ai codici militari”. A sostenerlo è uno che la guerra l’ha conosciuta sul campo: il generale Franco Angioni, già comandante delle truppe terrestri Nato nel Sud Europa e del contingente italiano in Libano negli anni più duri della guerra civile che dilaniò il Paese dei Cedri. “Quello che Putin teme più di ogni altra cosa – rimarca Angioni – è il possibile contagio democratico che l’esperienza in atto in Ucraina poteva esercitare nei confronti del popolo russo, visti anche gli stretti legami, culturali, linguistici, addirittura familiari, tra i due popoli. Questo è l’aspetto che al presidente russo spiaceva di più nella “europeizzazione” dell’Ucraina: l’avvicinarsi a quei principi e valori propri di un sistema democratico e non di un regime autocratico. Chi parla di ‘accerchiamento militare” della Russia nel caso di un’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, quella alla Nato non è mai stata seriamente all’ordine del giorno, evidentemente non conosce l’asimmetria delle forze armate dei contendenti, anche se all’esercito ucraino si aggiungesse un qualche sostegno europeo”.
Generale Angioni, che guerra è quella dei Russi in Ucraina?
Vede, la guerra ha i suoi codici, le sue regole. E definizioni appropriate. Una guerra va dichiarata, anzitutto. E mi creda non è un fatto formale ma sostanziale. Perché una guerra quando è tale è soggetta a Convenzioni internazionali, come quella di Ginevra, impone un codice di comportamento nei confronti della popolazione civile e dei prigionieri. Putin questa guerra non l’ha dichiarata. Ha invaso. Senza doversi attenere a quei codici a cui facevo accenno. Resta indefinita, nel tempo e nelle modalità. Per questo è peggio di una guerra.
Perché, generale Angioni?
Perché lui non vuole esporsi in maniera decisa nel dichiarare formalmente guerra. Perché per Putin ciò che contano sono le sue volontà. La guerra è molto più “onesta”, perché si definisce: prendete le armi, sparate e tentate di uccidere. Invece quella di Putin ha queste come finalità ma non è dichiarata.
Dal punto di vista strettamente operativo a suo avviso Putin è stato sorpreso, spiazzato dalla resistenza incontrata sul campo?
Io credo che sia stato sorpreso. Non tanto dalla reazione degli effettivi ucraini quanto dalla dimensione popolare della resistenza. Certamente era consapevole della poca simpatia di cui godeva in Ucraina, ma non fino al punto di trovarsi in una vicenda così determinata di scontro. In lui si è manifestata un’arroganza culturale, storica, di chi, in quanto sedicente depositario dell’eredità zarista e di quella dell’Unione Sovietica, si sente superiore all’avversario che intende riportare all’ordine, al suo ordine. Tra tutti i Paesi che circondano la Federazione Russa, e che in passato ne dipendevano in parte, l’Ucraina è quello che si è più “europeizzato”. E di conseguenza aveva assunto un atteggiamento che per Putin equivaleva ad una sfida, ad una minaccia esistenziale non per la sicurezza della Russia ma per quella del regime di cui è a capo. Quella dell’Ucraina è stata una sfida democratica. Non dichiarata, perché non aveva alcuna intenzione né interesse a farlo, ma aveva cominciato ad acquisire il piacere della libertà. Un “piacere” che per Putin poteva diventare, insisto su questo punto perché lo ritengo quello dirimente, una minaccia al suo mondo, al suo entourage, ai super oligarchi da lui stesso creati e che a lui devono le enormi ricchezze accumulate. Una minaccia al mondo “putiniano”. Lui non mira alla cancellazione dell’Ucraina ma alla sua “normalizzazione”, ad avere un regime amico a Kiev. L’Ucraina come stato satellite, addomesticato. Uno stato cuscinetto ai confini della Russia. Mi lasci aggiungere che la traduzione sul campo di una resistenza popolare è qualcosa che materializza un incubo per qualsiasi esercito: la guerriglia urbana, soprattutto quando ha come teatro città estese e densamente popolate.
In questo scenario, come valuta la reazione dell’Europa e degli Stati Uniti?
La valuto positivamente. Non possiamo, non dobbiamo fare il favore a Putin di dichiarare guerra. Dobbiamo manifestare democraticamente la volontà di continuare a convivere, ognuno con i propri impegni, le proprie necessità, mantenendo in vita l’elevato “miraggio” della convivenza. L’Italia si è comportata così perché è nella nostra indole, nella nostra volontà. Gli Stati Uniti hanno accettato questa situazione per non venire accusati di essere colpevoli dell’inizio di una guerra dichiarata.
Si è scelta invece la via delle sanzioni da parte dell’Occidente…
Si è scelto di rimanere nell’ambito della legge, della legalità internazionale e della convivenza. Le sanzioni, così come quello militare, sono strumento e non fine per perseguire una idea, una visione, una strategia politica. Le sanzioni sono funzionali a questi principi e non contrastano con quell’idea di convivenza di cui parlavo in precedenza. Le sanzioni contro chi ha invaso sono anche un modo concreto, democratico, per sostenere coloro che in questa vicenda sono le vittime: il popolo ucraino. Putin ha evocato i diritti della minoranza russofona ucraina come uno dei fondamenti della sua azione militare. Ma non si tutelano i diritti di una minoranza schiacciando quelli della maggioranza della popolazione ucraina.
Come vedrebbe un ingresso dell’Ucraina nella Nato?
Sarebbe un errore. Un grosso rischio. Ma non mi pare che né a Washington né a Bruxelles intendano correrlo.
Che tipo di esercito è oggi quello russo, generale Angioni?
È un esercito pericoloso. Perché ha acquisito i mezzi ma non la democraticità. E non c’è niente di peggio che un elemento che può provocare danni in mano ad uno scellerato.
Uno “scellerato” che si veste anche da storico, evocando il panrussismo, appellandosi alla Grande Madre Russia, occhieggiando ai fasti zaristi e alla guerra patriottica contro i nazisti. Quando un autocrate si fa “storico”, deve far paura?
Assolutamente sì. Perché nell’agitare alcune tematiche, come quella della “denazificazione” dello Stato ucraino, Putin si traveste da democratico e per questo risulta essere più pericoloso. Agendo in questo modo, lui rimane nell’ambito di una ambiguità voluta, che gli permette di non essere definibile come colpevole ma come “responsabile”, ed è una distinzione sostanziale.
Molto ha fatto discutere in Italia la decisione del Governo, con il via libera pressoché unanime del Parlamento, di inviare equipaggiamenti militari all’Ucraina…
L’interrompo subito. Non sono equipaggiamenti militari. Sono equipaggiamenti per la sopravvivenza del popolo ucraino. Un contributo. Non abbiamo inviato carri armati o aerei da combattimento.
Ed è stata una scelta giusta a suo avviso?
Sì. Non si poteva fare diversamente nel mondo democratico. Il che non inficia la necessità di perseguire ancora la strada della diplomazia, del convincimento, della possibilità di evitare il ricorso alle armi. Il nostro “manovratore”, gli Stati Uniti, rimane defilato per non attirare su di sé tutte le ire. L’Europa in questa vicenda, ha un po’ il ruolo di chi è mandato in avanscoperta per cercare di rimediare senza procurare ulteriori danni.
L’Europa si era cullata nell’illusione che la guerra dentro i suoi confini, non avrebbe fatto più parte del suo futuro. Sottovalutazione o rimozione?
Non sono di questo avviso. Io credo che ci sia stata molta attenzione in tutti i Paesi europei riguardo alla necessità di tenere alta la guardia e al tempo stesso di non contribuire a creare una scusa, un pretesto per il passaggio alle armi. E di conseguenza abbiamo lasciato spazio all’iniziativa avversaria, di Putin, tanto da poter poi dire che non possiamo tollerare oltre queste azioni che sono contro le leggi della convivenza. Dobbiamo rimanere attenti a non creare pretesti a chi ne è alla continua ricerca. Da questo punto di vista, quello che qualche osservatore ha valutato come un atto di debolezza, a mio avviso è stato un atto d’intelligenza politica…
A cosa si riferisce?
All’accettazione immediata dell’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea. Se lo avessimo fatto, sarebbe risultata una sfida per Mosca. Condivido questo atteggiamento prudente nel cercare di risolvere questa crisi.
Putin ha affermato che le sanzioni sono per la Russia una dichiarazione di guerra. Lei come la vede?
Putin fa queste affermazioni perché lo ritiene opportuno e conveniente. Non è un qualcosa che può portare alla rottura di una situazione che è già precaria. È un modo per mascherare il suo comportamento. Un modo per giustificare alcuni atteggiamenti. Mi pare soprattutto un discorso rivolto all’opinione pubblica interna, per compattarla attorno al “condottiero”. Non è la prima volta che ciò accade nella storia, anche in quella russa e sovietica. È proprio di regimi autocratici utilizzare lo spauracchio del Nemico esterno per giustificare limitazioni di libertà o puntare su un sentimento patriottico che peraltro è fortemente presente nei Russi.
Nella sua lunga storia in prima linea, lei ne ha conosciuti di dittatori, autocrati etc…Se dovesse dire in poche parole chi è per il generale Angioni, Vladimir Putin, come lo definirebbe?
È un leader che è uscito fuori dai canoni democratici, volendo imporre la sua autorità fuori dalle regole democratiche. Putin ha ritenuto di essere in grado di poter imporre le proprie volontà, ritenendo l’Europa incapace di una reazione significativa. Da autocrate ha ritenuto che le discussioni interne all’Europa fossero un segno di debolezza e non come il sale di relazioni democratiche. Lo ha ritenuto perché non ha il senso della democrazia.
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