Carlo Nordio ha presentato ieri in Consiglio dei ministri la riforma della giustizia di stampo “liberale” e “garantista” e subito è scattata, come da copione in questi casi, la controffensiva delle toghe di sinistra di Magistratura democratica. I primi giudici progressisti ad intervenire sono stati Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, e Nello Rossi, ex Avvocato generale dello Stato e attuale direttore di Questione giustizia, la rivista di Md.

Sia Santalucia – l’ottava sul punto da quando si è insediato il governo Meloni – sia Rossi hanno rilasciato un’intervista. Le modifiche proposte da Nordio (vedasi Il Riformista di ieri, ndr), e per alcuni esponenti della maggioranza di governo fin troppo blande per arginare lo strapotere dei pm, sarebbero per Rossi, «guanti di velluto per i colletti bianchi in una logica da Far West». Per il magistrato, in passato critico con i colleghi che hanno contestato l’associazione a delinquere agli imbrattatori di Ultima generazione, la politica penale del governo è gestita addirittura dal «Ministero dell’interno». Lo scopo, per Rossi, sarebbe «creare un doppio binario: pugno duro per la criminalità di strada, trattamento di riguardo per i reati economici e amministrativi, quelli dei ‘galantuomini’».

Il lettore poco informato potrebbe essere portato a pensare che la riforma di Nordio rappresenti una sorta di ‘liberi tutti’ per tangentisti e corruttori. La riforma, è bene ricordarlo, non incide sul catalogo dei reati, che continuano ad avere pene altissime, contro la Pubblica amministrazione, a parte l’abolizione dell’abuso d’ufficio, un grimaldello utilizzato pur di contestare qualcosa, e blande modifiche al traffico d’influenze.

Prendiamo il reato ‘simbolo’, la corruzione. Bene. La pena inizialmente era della reclusione da 2 a 5 anni. Con la riforma del 2012 del governo Monti venne aumentata da 4 ad 8 anni. Nel 2015 un ulteriore aumento, passando da 6 a 10 anni di reclusione. Dunque, in nemmeno tre anni la pena aumentò due volte ed in misura più che doppia. Si tratta, ovviamente, di sanzione edittale, quindi soggetta ad ulteriori aumenti in sede di giudizio, in caso di aggravanti fino ad un terzo, arrivando tranquillamente ai 16 anni. Per fare un confronto, il sequestro di persona è punito con la reclusione da 6 mesi ad 8 anni.

Ma non è finita. Con il governo giallo-verde, nel 2019, la corruzione e gli altri reati contro la pa vennero equiparati a quelli di mafia e terrorismo, i più gravi in assoluto, anche più dell’omicidio. Risultato? Assenza di qualsiasi beneficio, nessuna misura alternativa o sconto di pena, per coloro che riportano una condanna. Inoltre, essendoci stata l’equiparazione è possibile utilizzare il trojan, il virus informatico che trasforma il cellulare in microspia. Dove sarebbe, quindi, l’allarme per Md? Aver previsto che serva un collegio e non un giudice monocratico per firmare i provvedimenti cautelari. La ratio della norma, che nessuno ufficialmente può dire, è evitare la prassi del “copia e incolla”. Adesso il pm utilizza la richiesta cautelare della polizia giudiziaria ed il gip spesso la fa propria, lasciando anche i refusi o gli errori ortografici del maresciallo estensore.

Con un collegio di tre giudici – si spera – qualcuno si leggerà con più attenzione il fascicolo. La riforma ha anche previsto, prima della custodia cautelare e nei casi dove non ci sia pericolo di fuga o inquinamento delle prove, l’interrogatorio preventivo. Quindi, il politico o l’amministratore continueranno ad essere arrestati ‘a sorpresa’ in quanto l’incarico ricoperto gli permette di inquinare il quadro indiziario a suo carico. Il sospetto, dunque, è che Md non abbia abbandonato la sua visione marxista della giustizia intesa come lotta di classe. Per raggiungere lo scopo, ed abbattere gli odiati rappresentanti dello Stato borghese, vale tutto.